SHIRIM – «Il cortile della scuola», Yehuda Amichai
Il cortile della scuola
Nel cortile della scuola gli alberi
sono cresciuti o morti,
e cosa non darebbero i bambini per crescere, uscire, amare.
Se hai mai visto una tendina bianca
sventolare a una finestra aperta, hai visto
come gli uomini amano.
Se hai mai visto un barbiere di sera
su una sedia, allo specchio, che si rade
hai visto come gli uomini vivono.
Se hai visto ebrei che pregano per la pioggia,
che invocano pioggia in una terra piovosa,
hai visto come gli uomini ricordano.
Se hai visto un bimbo giocare solo nel cortile della scuola in vacanza,
hai visto nostalgia.
È in noi, da qualche parte nel profondo, un cortile assolato che ha veduto i giorni della scuola.
Qui ci conducono i versi del grande poeta Yehuda Amichai (Würzburg 1924 – Gerusalemme 2000).
L’azzurro delle pareti si è fatto bianco, la fontanella di tufo levigata dalle piogge di tanti inverni.
Ma i cari spazi trattengono, qua e là, voci infantili, corse nell’erba, visi di bimbi divenuti, poi, giovanetti.
In quei giorni lontani si era molto sognato un altrove.
Cosa non si sarebbe dato per un solo giorno fuori dalle anguste mura, per un tempo di libertà in cui nutrire il sogno troppo presto disfatto, perduto, al mattino?
Si sarebbe regalata, pure, ogni cosa, per poter sciogliersi dal giogo un momento e correre via tra i prati infiniti, liberi dai doveri in attesa, dimentichi delle prove di domani.
Il cortile della scuola era pieno di alberi.
Un tempo, una bimba e suo padre vi piantarono un olivo, un acero, una quercia, in ricordo d’una favola. I tre ristavano insieme, un poco arruffati, come tre fanciulli che venissero, timorosi, tra i banchi, il primo giorno, a giocare, imparare poesie, conoscere storie.
Fanciulli, gli alberi, che sarebbero cresciuti un po’ più piano, e, se tutto fosse andato bene, sarebbero rimasti per sempre lì, nel cortile della scuola, a contare, dei bimbi, le primavere, vederli sognare, partire, insegnare loro la via del ritorno.
Il verso Cosa non darebbero i bambini per crescere, uscire, amare s’inchioda nel petto come un atroce pungolo.
Che cosa sognano i bambini che non sono tornati?
Cosa non darebbero per crescere, uscire, amare? Per tornare a casa.
Il cortile inondato di sole – è quasi estate – sogna i loro giochi e le voci, i teneri riccioli rossi.
Nel giardino silenzioso la quercia, l’olivo, l’acero attendono. Il Paese, tutto.
La voce prosciugata.