MILANO – Al Parenti serata-verità su Israele e Medio Oriente

È grave dover tenere un confronto su Israele e il Medio Oriente protetti dalla polizia. «Non dovrebbe succedere», sottolineano organizzatori e relatori dal palco del Franco Parenti di Milano. Fuori un cordone di polizia tiene lontano manifestanti propalestinesi e gli agenti controllano chi entra all’evento. Dentro, la sala principale del teatro si riempie velocemente. Il dibattito – intitolato «La Verità sul conflitto israelo-palestinese» e organizzato dall’associazione Setteottobre – è un momento di confronto e cultura spiega in apertura la direttrice del Parenti, Andreé Ruth Shammah. Ai contestatori fuori che vorrebbero boicottare il suo teatro risponde: «Se ci sono idee da esprimere il palcoscenico del Franco Parenti è aperto. Ma parliamo di idee, non di provocazioni».
Il clima della giornata e di questi mesi, aggiunge il presidente di Setteottobre Stefano Parisi, dimostra l’importanza di opporre la cultura alla propaganda anti-Israele.
Ancor più netto l’allarme lanciato da Elon Levy, ex portavoce del governo israeliano, ospite dell’evento assieme al direttore esecutivo di UN Watch, Hillel Neuer e alla fondatrice di Arabs Ask, la libanese Rawan Osman. «In questa guerra in gioco c’è qualcosa di molto più grande del destino di Israele, più grande del destino degli ebrei e dell’Europa. È la domanda: la verità conta ancora?». Secondo Levy con il 7 ottobre Hamas, aiutato dall’Iran, ha messo in luce la fragilità dell’Occidente e soprattutto delle sue opinioni pubbliche, incapaci di riconoscere il pericolo dei terroristi palestinesi e di chi li sostiene. Si accusa Israele di genocidio, distorcendo i fatti e in questo modo legittimando una campagna d’odio globale, afferma l’ex portavoce del governo di Gerusalemme. «È in corso una campagna di disinformazione che vuole far pensare a voi europei che se gli ebrei sono cattivi come i nazisti, forse i nazisti avrebbero dovuto finire il lavoro nel 1945». È una propaganda, sottolinea Levy, che ha riacceso l’antisemitismo globale e punta a colpire sia Israele sia gli ebrei della Diaspora.
In questo meccanismo di distorsione molte responsabilità hanno le istituzioni internazionali, denuncia Hillel Neuer, direttore di UN Watch. Uno degli esempi è l’Unrwa, l’agenzia Onu che si occupa dei palestinesi, che a Gaza da anni gestisce le istituzioni scolastiche. «Quali scuole hanno frequentato secondo voi i 3mila terroristi che hanno invaso Israele e massacrato centinaia di famiglie? Se l’Unrwa avesse fatto un po’ di introspezione avrebbe riconosciuto che la stragrande maggioranza di quei terroristi, il 90% secondo un funzionario dell’Onu, ha frequentato le sue scuole». Per decenni, accusa Neuer, in istituti finanziati dalla Nato «generazione dopo generazione, è stato insegnato ai palestinesi che la loro casa non è Gaza, ma Israele». È stato insegnato l’odio.
Un punto richiamato anche da Rawan Osman. «Io non sono cresciuta a Gaza, ma in Libano. Ma mi hanno comunque insegnato a odiare Israele e gli ebrei». Poi i viaggi in Europa e in Occidente le hanno dato accesso ad altre informazioni. «A un’altra narrazione. E così ho iniziato a cambiare le mie convinzioni». Ora, sul palco del Parenti, spiega: «Il mondo arabo non è interessato alla giustizia, ma alla scomparsa dello Stato di Israele. Chi sostiene la “resistenza” palestinese non è preoccupato delle sofferenze di questo popolo, vuole solo che gli israeliani soffrano abbastanza da lasciare il Medio Oriente una volta per tutte». Per Osman la guerra contro Hamas è una risposta inevitabile di fronte a un massacro ed è quello che cerca di spiegare al pubblico arabo. Poi conclude: «Se sui social media venissero diffuse le immagini di una ragazza palestinese di 19 anni svegliata nella notte in casa sua, picchiata, stuprata, trascinata per i capelli con i pantaloni insanguinati, come reagirebbe il mondo? Come reagirebbero i paesi arabi?».