ARTE – Al Mart una mostra sul fascismo con poche didascalie

Un gigantesco affresco risalente all’epoca fascista campeggia sul muro di fronte all’entrata del Salone d’Onore del Coni. Il murale, opera di Luigi Montanarini, ha un titolo inequivocabile – Apoteosi del fascismo – e raffigura un Mussolini statuario che arringa la folla affiancato dal Gran Consiglio. È davanti a questa immagine che si sono ritrovati nei giorni scorsi i dirigenti di European Athletics, che proprio lì sotto avrebbero dovuto tenere la conferenza stampa ufficiale degli Europei di atletica di Roma. Situazione poi risolta cambiando location. Negli stessi giorni al Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (MART) – diretto dal 2020 da Diego Ferretti, succeduto a Gianfranco Maraniello che lo guidava dal 2015 – è visitabile la mostra Arte e Fascismo, ideata da Vittorio Sgarbi, Presidente dell’istituzione la cui sede è stata progettata da Botta e Andreolli. Voluta da Sgarbi e curata da Beatrice Avanzi e Daniela Ferrari, analizza l’influenza del regime fascista sulla produzione figurativa italiana e sull’utilizzo propagandistico di arte e architettura. Non imponendo un canone e integrando alcune delle tendenze di quel periodo storico, il regime fascista ha facilitato lo sviluppo di correnti anche molto dissimili tra di loro; ma tutto, dal Futurismo al movimento del Novecento italiano di Margherita Sarfatti, ha portato allo sviluppo di un’arte di propaganda volta alla costruzione del consenso, in un sistema organizzato delle arti orientato al tentativo di inglobare in una politica complessiva gli artisti significativi dell’epoca, che sarebbero diventati i portavoce del fascismo. Sono presenti opere di coloro che furono convinti sostenitori del fascismo, come Depero e Sironi, ma anche di artisti più distanti ma comunque adusi ai luoghi del potere, strumento di affermazione di una esplicita e costante volontà celebrativa. Dal Futurismo a celebrazione dell’azione, dall’arte monumentale, propagandistica grazie a murali, mosaici e affreschi ai progetti di edifici pensati per esaltare la potenza italiana, tutto riporta a un’epoca cupa. Un’operazione di recupero di opere che non possono essere decontestualizzate e che non possono essere esposte senza un racconto di ciò che sono stati quegli anni. E senza che il pubblico sia reso consapevole a ogni passo di come fosse presente una prospettiva di comunicazione volta al convincimento di massa della bontà del regime fascista. È necessario continuare a sottolineare e spiegare l’intento di un’arte “pubblica” che era utilizzata come strumento di consolidamento del potere. In tale senso può essere utile continuare a parlarne, meno normale è ritrovarla ancora esposte negli edifici pubblici, ad accogliere delegazioni internazionali.