CANADA – Artista ebrea esclusa da festival, seguono scuse a metà

Miriam Libicki è stata esclusa in maniera permanente dal Vancouver Comics Arts Festival (noto come VanCAF) perché ha prestato servizio nell’esercito israeliano «e per la raccolta di opere che raccontano la sua posizione personale in detto esercito e l’occupazione illegale della Palestina». È una notizia pubblicata il 29 maggio su The Canadian Jewish News, e la “vittima” è l’autrice di Jobnik!, una serie di graphic novel autobiografiche che dal 2005 raccontano come ha vissuto il servizio militare in Israele durante la Seconda Intifada. I suoi argomenti principali, scontro culturale e costruzione identitaria, viste attraverso la sua molteplice identità – è un’artista ebrea che ha la doppia cittadinanza americana e israeliana – le sono valsi numerosi premi, ed è stata writer in residence proprio presso la Biblioteca pubblica di Vancouver, nel 2017. Libicki ha contestato la decisione, definendola non solo “illegale”, ma ricordando anche come una simile scelta sia pessima per tutti gli artisti, quali che siano il loro orientamento politico o la loro provenienza. Ha aggiunto: «Sono favorevole alla pace, che ho sostenuto pubblicamente, e alla nascita di uno Stato palestinese». Una sua ulteriore dichiarazione, condivisa con la giornalista ed editrice canadese Jessy Brown, ribadisce che «ogni controllo sull’identità personale e sulla nazionalità degli artisti è sbagliato». Il festival, dal canto suo, si è scusato pubblicamente, pur non menzionando neppure Libicki né lo Stato di Israele, né chiarendo se la messa al bando è stata sospesa: «VanCAF desidera esprimere le proprie profonde e sincere scuse per l’impatto causato dalla precedente dichiarazione. Innanzitutto alla persona direttamente colpita dal nostro primo post. La decisione era sbagliata ed è stata presa troppo rapidamente. (…) Desideriamo anche scusarci con la comunità colpita». La questione non è isolata: in Canada anche la ciclista Leah Goldstein è stata “cacciata” dalla Giornata internazionale della donna di Ottawa, dopo che alcuni attivisti filo-palestinesi hanno scoperto che ha fatto il servizio militare nell’esercito israeliano, più di trent’anni addietro. Era certamente persona giusta per una simile occasione: è entrata nella storia come la prima donna a vincere una corsa di 3 mila miglia attraverso gli Stati Uniti, ma anche se il gruppo ha dichiarato che «Il nostro obiettivo è stato e sarà sempre quello di creare spazi sicuri per onorare e celebrare le straordinarie storie delle donne e degli individui non binari», la conclusione è stata che «In riconoscimento della situazione attuale e della sensibilità sul conflitto in Medio Oriente, cambieremo il nostro relatore principale». Marina Rosenberg, della Anti-Defamation League, ha dichiarato alla Jewish Telegraphic Agency che il caso Goldstein è segno di una tendenza preoccupante: «Stiamo assistendo a un numero sempre maggiore di casi di relatori israeliani che vengono respinti semplicemente a causa della loro nazionalità o del servizio prestato nell’IDF. È dannoso, antitetico rispetto alla libertà di parola e, in definitiva, controproducente»