SHIRIM – «Quando si prosciugheranno…» (Suzana Glavaš)

Quando si prosciugheranno
le nostre fonti di poesie
tu guardati indietro
e guardati avanti
e su terrene e lattee vie
scorgerai
gorgoglianti
innumerevoli
microscie
di microcosmi
amanti

Suzana Glavaš, autrice di questo testo tratto dalla silloge Sono donna che non c’è (Aracne, Roma 2013) è poetessa di lingua croata che compie il miracolo di comporre testi pregni di meraviglia in italiano.
Come la danzatrice si china, genuflette, avvolge se stessa e il palco, così la poetessa abbraccia, ripiega, scioglie la lingua italiana, incontrando, creando lei stessa varchi che colma di suono e di luce.
Le morbide assonanze stordiscono come un intenso, improvviso profumo, i versi rubano il cuore, lasciando nel lettore una consapevolezza velata di nostalgie.
Conobbi Suzana a Napoli, in occasione di un concerto per la celebrazione di Pesach. La sua fama di raffinata poetessa la precedeva, ma quel giorno la udii intonare, con mirabile grazia, melodie che non ho scordato. Più della sua voce m’incantarono, tuttavia, gli occhi gonfi di lontananze che posò su di me quando parlammo di poesia. Avevo per lei molte domande; tra le tante, desideravo chiederle quanto spesso scrivesse versi. La poesia qui proposta mi ha restituito il suo sguardo e le risposte di quel giorno.
Esiste un luogo ove dimorano le fonti della poesia? Albergano, forse, da qualche parte nel profondo, nello spazio interiore del poeta, o fluttuano, sfuggenti, al di fuori di esso? Sarà, la fonte, perenne, sempre a portata di penna? La poetessa rispose, risponde di no.
Profeticamente indovina il giorno in cui la sorgente apparirà come esausta, prosciugata.
Dove abbeverarsi, allora? Attingere al pozzo sibillino dell’ieri, del domani.
Le vie della poesia dimorano nel sottosuolo terrestre e interiore, viaggiano non viste trovando ignari messaggeri in una fila di formiche, nel cigolare d’una porta, nel fruscio delle reste del grano.
Ma nei cieli, tra i fulgidi astri, ancora vie segrete renderanno una particella dell’anima nostra, l’anima antica e ventura.
Scorge Suzana microcosmi invisibili, gorgoglianti come ruscelli montani. Trovarli, disseppellirli, custodirli. Ricordarsene nei giorni di magra.
Qualcuno scriveva che è vagando a ritroso nel giardino dell’infanzia che il sentiero per la poesia può essere riscoperto. Una ricerca del tempo perduto da iniziare sotto la terra che cingeva il pruno, o dall’arco incantato dalla luna che scorgemmo in un remoto autunno. Là dove pullulano sentieri non visti, in attesa d’essere dissepolti.
La poetessa viaggia come una sciamana tra i piani dell’esistenza, rivelando il segreto per coniugare il prima col dopo, ciò che fu, con ciò che sarà.

Shirim è a cura di Mariateresa Amabile, poetessa e docente di Diritti Antichi all’Università di Salerno