GIOVANI – Taglit, volontari in azione: Dall’agricoltura riparte la speranza

Dopo lo scoppio della guerra, in seguito al pogrom del 7 ottobre, Hamas ha minacciato il re della Thailandia di uccidere tutti gli ostaggi tailandesi se non avesse richiamato in patria i suoi connazionali impiegati in Israele. Una mossa mirata a mettere in ginocchio l’agricoltura colpita anche dal ritorno al fronte di 300 mila riservisti. «Poi per fortuna sono arrivati tantissimi volontari da tutto il mondo: pensavamo che sarebbero scappati dopo dieci minuti nelle serre, invece sono rimasti, sono aumentati e ci hanno salvato». Accanto ai volontari locali, migliaia di persone felici di aiutare sono arrivate grazie alle organizzazioni ebraiche internazionali. Come Taglit-Birthright Israel.
Creata nel 1999 dai filantropi ebrei americani Charles Bronfman e Michael Steinhardt, Taglit cerca di far visitare almeno una volta Israele a tutti i giovani ebrei dai 18 ai 26 anni, secondo il loro birth right, diritto di nascita in quanto ebrei. La guerra ha avvolto Taglit in un alone di incertezza sulle sue attività future. Da qui, l’intuizione: convertire i viaggi turistici per “novizi” in spedizioni di volontariato aperte a tutti fino ai 40 anni. In turni da una o due settimane, le comitive sono indirizzate verso i kibbutz e moshav più in difficoltà.
La nostra spedizione, con 37 partecipanti da otto paesi diversi – fra cui cinque volontari dall’Italia – ha preso in carico il moshav di Ahituv e per un giorno anche quello di Talmei Yosef, vicino a Gaza. Abbiamo raccolto cetrioli e pomodori datterini “Lobello”. Un lavoro semplice ma gratificante e divertente, svolto accanto a israeliani e stranieri, giovani e meno giovani, accomunati da solidarietà e fratellanza. Nel caldo della serra, tra balli e canzoni, ci siamo sentiti come i primi pionieri del secolo scorso. Riscoprendo un senso di appartenenza ebraico, originale e genuino, che riporta alla mente Ben Gurion e Golda Meir, profondi sostenitori del valore sionista dell’agricoltura. Una professione storicamente preclusa agli ebrei in Europa, sia per i decreti dei governanti sia per un tragico criterio di praticità, legato alla scarsa “trasportabilità” della professione in caso di persecuzioni o espulsioni. Per questo motivo, fin dagli albori dello Stato ebraico, e prima ancora dello Yishuv, l’agricoltore era un mestiere che riempiva d’orgoglio, simbolo dell’acquisita libertà degli ebrei in Israele. Secondo lo spirito dei fondatori e delle fondatrici, il riscatto di Eretz Israel sarebbe dovuto passare dal lavoro manuale degli ebrei, e non dalla manodopera straniera. Nel nostro piccolo, ci siamo rimboccati le maniche e sporcati le mani per sostenere un paese che non può permettersi di dipendere dalle importazioni, ma che ha l’impellenza di provvedere ai bisogni primari dei suoi cittadini. Tornati in Italia, ci siamo resi conto dell’incanto di questa esperienza, che dopo mesi di angoscia e amarezze nelle università, tra continue manifestazioni violente e convegni faziosi, ci ha ricaricato e conferito una nuova ispirazione e motivazione a impegnarci per i nostri valori e la nostra identità.

David Fiorentini