EUROPEE – Levi Sacerdotti: Diario di una campagna elettorale dopo il 7 ottobre
Ci sono state alcune “chicche” in questa campagna elettorale che meritano di essere riportate per la naturalezza con cui sono state espresse. Come sempre, è dall’osservazione più banale che si scoprono i sentimenti più candidi degli individui: Una signora candidata mi ha detto: «Noi siamo con voi (ebrei): in campagna non si può dire ma se mi eleggono lo farò dopo». «Grazie signora!».
ll giorno prima delle elezioni, con un’operazione militare degna della miglior intelligence israeliana, sono stati liberati quattro ostaggi in vita, prigionieri in un’abitazione borghese di professionisti. A parte il presidente francese Emmanuel Macron nessun politico ha commentato l’operazione israeliana – silenzio.
Ma in questo mese elettorale il silenzio è stato la norma. Il massimalismo da una parte e il sovranismo dall’altra non hanno lasciato grandi spazi e grande attenzione alla liberazione di quattro fra i 134 ostaggi del più spaventoso pogrom del Dopoguerra.
Abbiamo vissuto con rabbia chi sosteneva le occupazioni studentesche inutilmente paragonate al Sessantotto e che inneggiavano alla sparizione dello Stato di Israele, abbiamo condiviso il terrore degli studenti israeliani e ebrei di andare all’università e nel frattempo da una parte si urlava alla libertà di espressione delle nuove generazioni e dall’altra a una repressione più per forma che per reale contrasto agli inni antisemiti.
Abbiamo così assistito all’esposizione delle bandiere palestinesi in ogni dove, dai consigli comunali al Duomo di Milano, fino alla manifestazione del 25 aprile. Dove le bandiere palestinesi erano di più di quelle italiane. Nella manifestazione torinese lo stesso giorno abbiamo visto il camioncino che accompagnava la parte di corteo de “il treno della memoria”– ossia un progetto che porta i ragazzi a visitare i campi di concentramento – bardata con una bandiera palestinese. Un 25 aprile già di per sé molto “sconsigliato” agli ebrei.
Gli episodi di disagio sono stati tanti, a partire dalla composizione delle liste con donne molto vicine a Non Una Di Meno, che pure non hanno mai condannato la violenza di genere tratto essenziale del pogrom del 7 ottobre, premiate con la possibilità di un seggio a Bruxelles.
A destra, a parte la fiamma mai tolta in Italia e il ritorno del finanziamento all’Unwra dopo aver sventolato ai quattro venti la sospensione dei fondi, non sembrano neanche loro troppo convinti del filosemitismo se non di facciata tanto da lasciare molta ambivalenza.
Nel mezzo della campagna elettorale arriva il verdetto della corte dell’Aja con una inqualificabile equivalenza tra Sinwar e Netanyahu. Pochi e sbrigativi commenti.
Poi ci sono stati i video delle ragazze ostaggio: l’intero universo ha visto l’atrocità che proveniva da quelle grida che cercavano anche un canale di comunicazione con i propri torturatori. Non c’è stata una dichiarazione da parte di nessuno. Nessuno. Se non chiedere il riconoscimento dello stato di Palestina il giorno dopo da parte della sinistra, e la scoperta, dall’altra, di una chat di matrice antisemita nel telefono di un signore molto vicino a un ministro della Repubblica.
Per molti di noi non rimane che il centro, dove l’ambiguità o un silenzio impenetrabile sembra non esserci. Gli unici che si sono schierati apertamente contro l’antisemitismo e che hanno chiamato l’antisionismo con il loro nome e senza silenzi imbarazzanti e imbarazzati. Il problema è che il centro questa volta ha fatto un buco nell’acqua e non ha portato nessuno a Bruxelles.
L’erratico ebreo ora dovrà provare a convivere con queste polarizzazioni che certo non sono facilmente digeribili e che poco hanno a che fare con il Manifesto di Ventotene.