STORIA – Lotoro: La musica, Iron Dome della civiltà

Nel dicembre 1940 ad Auschwitz I Stammlager l’autorità tedesca assemblò un’orchestra di deportati di varia nazionalità; la bacchetta fu affidata allo slesiano Franciszek (Franz) Nierychło, un kapò del quale i musicisti sopravvissuti riportano il profilo di un individuo spregevole e inadeguato al ruolo.
Il nucleo originario della Lagerkapelle era costituito da saxofonista, trombettista, percussionista, fisarmonicista, violinista e contrabbassista, i quali inizialmente utilizzarono strumenti musicali confiscati presso città limitrofe; le prove si tennero a partire dal 6 gennaio 1941 al piano interrato del Block 24 presso il quale era allocato un podio e un pianoforte a coda.
Il pianista, compositore e direttore d’orchestra polacco Adam Kopyciński (foto 1) si perfezionò a Budapest e diresse cori a Cracovia e Katowice, durante la Guerra fu arrestato e trasferito ad Auschwitz I, nel 1942 fu ammesso nella Lagerkapelle; nel medesimo anno Nierychło, classificato Volksdeutsche e coscritto nella Wehrmacht, lasciò l’incarico di direttore (dopo selezione interna) a Kopyciński, anche se i documenti riportano che Nierychło rimase formalmente in carica sino al 1944.
Ad Auschwitz I, Kopyciński si prodigò affinché i musicisti della Lagerkapelle fossero alienati dal lavoro coatto così da concentrarsi maggiormente sulle prove d’orchestra, sotto la sua direzione la Lagerkapelle ampliò l’organico sino a toccare un picco di 120 membri; dopo la Guerra, Kopyciński dattiloscrisse i nomi di ben 136 musicisti della Lagerkapelle (tutti ricordati a memoria).
Nell’autunno 1943, a causa dei progressivi trasferimenti di deportati musicisti polacchi verso Lager aperti nel territorio metropolitano del Reich e, d’altra parte, sollecitato dalle autorità del Lager a soddisfare le loro richieste di intrattenimento musicale, Kopyciński chiese e ottenne che i vuoti d’organico fossero colmati da musicisti ebrei; dagli elenchi ufficiali del Lager (foto 2) risultano al 22 novembre 1944 ben 60 orchestrali classificati ‘Juden’, distinti da soli sette musicisti classificati ‘Arier’ (ariani, Kopyciński è compreso in questa lista), nella medesima lista risultano altri tre orchestrali ‘Arier’ e sette ‘Juden’ operativi in vari Kommando e classificati come medici o trasportatori di patate.
Una vera e propria orchestra ebraica che si esibiva ad Auschwitz I; anche considerando fisiologici avvicendamenti e turnazioni tra gli orchestrali, resta il fatto che la Lagerkapelle che si esibiva dinanzi a ufficiali SS e militari tedeschi fosse in netta maggioranza composta da ‘Juden’.
Una vittoria a tutto tondo per i musicisti ebrei, se impariamo a leggere tra le righe complesse della Storia; a Essi va riconosciuto il pregio di aver meravigliosamente eseguito dinanzi al più impensabile pubblico un repertorio variegato (dal classico all’operetta, dalla musica salottiera alla canzone napoletana), l’alto gradimento si traduceva in lascito di liquori, tabacco e beni scambiabili all’interno del Lager.
Kopyciński risentì fortemente della scelta di gestire un’attività musicale in un simile luogo nonché del sofferto respingimento di richieste di ammissione all’orchestra in quanto superiori ai posti disponibili.
Dopo la Guerra, studiò direzione d’orchestra con Walerian Bierdiajew, nel 1954 con Radomir Reszke fondò e diresse la Filharmonia Wrocławska (oggi Witold Lutosławski Filharmonia Wrocław), ricoprì incarichi didattici e direttoriali presso la Akademia Muzyczna im. Karola Lipińskiego di Breslau; Kopyciński dovrebbe essere riconosciuto Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem poiché ha salvato decine di musicisti ebrei e auspico procedimenti istituzionali in tal senso.
Il 7 ottobre 1941, su un’area poco distante da Auschwitz I Stammlager, si aprirono i cancelli di Birkenau; inizialmente operativo come Kriegsgefangenenlager, degli oltre 13.000 prigionieri di guerra sovietici colà trasferiti soltanto 92 di essi sopravvissero.
È come se sulla Terra si fosse spalancato il portale dell’inferno; oggi il popolo ebraico ha assistito a un nuovo, orribile 7 ottobre che questa volta sembra non finire mai.
La Storia non gioca con le date; giorni o mesi o anni non sono sommatorie di tempi calcolati su Sole e Luna ma bugs connessi tra loro che attraversano uomini squarciandone la loro esistenza.
Il 9 novembre 1938 si consumò la Kristallnacht, madre delle peggiori sciagure del Novecento; lo stesso giorno, nono del penultimo mese dell’anno civile, coincide con il 9 Av (Tisha beAv), nono del penultimo mese dell’anno ebraico nonché giorno luttuoso della storia ebraica ma se invertiamo l’ordine giorno/mese da 9/11 (9 novembre) a 11/9 (11 settembre…) la tragedia non cambia.
Storia e numeri si interfacciano tra loro e si accaniscono su di noi per opera di esseri “nati uomini e divenute bestie” come disse il procuratore Gideon Haussner nei riguardi di Adolf Eichmann durante l’arringa del processo del 1961 a Gerusalemme; come un Iron Dome (l’infallibile sistema di difesa antimissile dello Stato d’Israele) dell’intelletto e del cuore, la musica ha l’ambizione di ergersi a scudo di civiltà e cupola di protezione da chi intende riportare indietro le lancette della Storia.
“Heveti shalom aleykhem” (vi porto saluti di pace), spesso intitolata anche al plurale con “Hevenu shalom aleykhem”, è una delle canzoni ebraiche più popolari e amate; la cantarono a squarciagola decine di bambini ebrei polacchi sopravvissuti ai rastrellamenti in Francia, lo psicologo statunitense di origine lettone David Boder la registrò nel dopoguerra in un DP Camp.
Occorre amare veramente la vita per fare musica nel Lager o cantare alla pace il giorno dopo la fine della Guerra; lo fecero i bambini francesi e i musicisti della Lagerkapelle diretti da Kopyciński che suonarono splendidamente dinanzi a chi l’indomani non avrebbe esitato a togliere loro la vita.
Sì, perché la musica potrebbe forse non salvare la vita; forse.
Ma val la pena tentare dato che, per dirla con Primo Levi, la musica “sarà l’ultima cosa […] che dimenticheremo” e anche la prima cosa che l’uomo fa nel momento in cui riassapora la libertà.

Francesco Lotoro