SCAFFALE – L’erranza come castigo?

Il libro di Marcello Massenzio intitolato Maestri erranti. Il rinnovamento della cultura ebraica dopo la Shoah (Einaudi, 2024, pp. 156) rappresenta una ricognizione di alta profondità su una serie di tematiche apparentemente diverse, che l’autore (rinomato antropologo e storico delle religioni, che vive tra Roma e Parigi) riesce a intrecciare con grande maestria, accompagnando il lettore in un percorso di conoscenza particolarmente intenso e ricco di suggestioni.
Il volume è stato presentato (anche dal sottoscritto) l’11 giugno presso la sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napol, insieme a quello di Roberto Esposito La lotta con l’Avversario, di cui abbiamo parlato nello scorso Scaffale. Accostamento quanto mai naturale, dal momento che entrambi gli autori toccano più volte argomenti simili (per esempio, entrambi si soffermano a lungo su Chagall, e trattano di autori come Wiesel e Levinas e di figure bibliche quali Abramo e Giacobbe). Eppure, nessuno dei due sapeva che l’altro stesse scrivendo il suo testo, e i due libri sono apparsi contemporaneamente, in una sorta di inconsapevole “parto gemellare”.
Al centro dell’investigazione di Massenzio c’è il rinnovato fermento culturale ebraico, dopo la voragine della Shoah, nella Parigi del dopoguerra, città tanto profondamente segnata dal pensiero ebraico – concentrato nell’arduo sforzo di riannodare dei fili di razionalità e di immaginare un nuovo futuro possibile, dopo il totale precipizio nel mondo nelle tenebre – da essere chiamata “la nuova Gerusalemme”. «In questo quadro», nota Massenzio, «si staglia la figura misteriosa e affascinante di Mordechai Chouchani, un personaggio reale, circonfuso, al contempo, di un’aura mitica». Maestro venerato di Levinas e Wiesel, Chouchani «ha avvolto la sua esistenza nel più fitto dei misteri – ‘un mistero sette volte sigillato’-, occultando le proprie origini, il proprio passato, errando senza tregua da un Paese all’altro, da un continente all’altro». Forte di una «sconfinata, prodigiosa conoscenza delle Scritture, di cui è divenuto la memoria vivente», Chouchani è così assurto a simbolo per eccellenza dell’inquieta erranza del popolo ebraico, e della funzione svolta dalla Torah di “patria ambulante” del popolo esule e disperso.
Ma è, l’erranza, soltanto una condanna, il compimento di una punizione e di una maledizione, o non può essere vista come un deliberato rifiuto di mettere radici, nella consapevolezza che ogni radice, per definizione, non può non essere illusoria e ingannatrice? Come il rifiuto dell’idea stessa di un ‘centro’, di un ‘interno’ da cui sia possibile rivolgersi a un ‘fuori’, a un ‘esterno’? Come nel dialogo tra due ‘erranti’ da cui Claudio Magris ha ricavato il titolo di un suo noto libro: «Vai tanto lontano? Lontano da dove?».
Massenzio parte dalla considerazione della consolidata concezione antisemita dell’esilio come condanna, come punizione collettiva per l’inespiabile crimine del “deicidio”. Un’idea malata maturata già all’inizio dell’era cristiana, e, sia pure passata un po’ di moda, non ancora scomparsa, e sintetizzata nei famosi versi del sesto Canto del Paradiso (92-93): la distruzione di Gerusalemme sarebbe stata la «vendetta de la vendetta del peccato antico», ossia la giusta punizione per quella Passione che, a sua volta, aveva ‘vendicato’ il peccato originale. L’autore si sofferma a illustrare, nei suoi molteplici particolari, il grande affresco di Wilhelm von Kaulbach La distruzione di Gerusalemme ad opera dell’imperatore Tito (1841-1846). L’esercito romano, in un tripudio di angeli, porta a compimento la sua azione distruttiva, che non è soltanto un’azione militare, ma soprattutto l’adempimento di un comando di giustizia divina. Quei fieri e nobili soldati, anche se ancora devoti agli «dèi falsi e bugiardi», sono in realtà al servizio del Dio unico, che vuole che sia così concluso il suo disegno soteriologico. Un dipinto grandioso e ripugnante.
Così come, nel 1602, fu scritto n Germania un libello di grande diffusione e notorietà, la Kurtze Beschreibung und Erzehlung von einem Juden mit Namen Ahasverus (Descrizione e storia di Kurtze di un ebreo di nome Assuero). Il testo trae spunto dal racconto antisemita secondo cui Gesù, nel salire al calvario, si sarebbe appoggiato alla parete della casa del calzolaio Assuero per avere un attimo di refrigerio, ma quello lo avrebbe cacciato in malo modo, ordinandogli di affrettarsi a raggiungere il luogo del martirio. Al che Gesù gli avrebbe risposto: «Io mi fermerò e riposerò e tu camminerai». Ha così inizio l’erranza, vista come “supremo castigo”.
E, visto che essa è stata decisa da Dio, solo una contraria decisione divina potrà ad essa porre fine. Tale decisione non risulta ancora pervenuta. C’è forse da stupirsi se alcuni, anzi, molti, continuano a non accettare che parte del popolo errante abbia scandalosamente posto termine, con le sole proprie forze, e senza alcuna autorizzazione dall’alto, all’erranza?
In fine dei conti, 76 anni sono un trascurabile frammento in una storia eterna. Un piccolo incidente di percorso, a cui si dovrà porre rimedio.

Scaffale è a cura di Francesco Lucrezi, docente di Diritti antichi all’Università di Salerno

(Nell’immagine, La distruzione di Gerusalemme ad opera dell’imperatore Tito di Wilhelm von Kaulbach – 1846)