RUSSIA – Gorin: Due sinagoghe in fiamme mentre Hamas visita il Cremlino

«Ecco com’è ridotto l’interno della sinagoga di Derbent». È il laconico commento di Boruch Gorin, capo della Federazione delle comunità ebraiche della Russia, all’indomani dell’attacco compiuto da un commando di terroristi contro la sinagoga di Derbent, nella regione russa del Daghestan. Nell’immagine pubblicata da Gorin sui propri profili social si vedono solo cenere e distruzione. «Siete riusciti a salvare qualcosa?», chiede qualcuno. «No», replica seccamente Gorin. Anche a Makhachkala, un centinaio di chilometri a nord di Derbent, la locale sinagoga è stata data alle fiamme, ha raccontato Gorin.
Secondo le ricostruzioni i terroristi nelle due città su Mar Caspio si sono mossi in modo coordinato, colpendo sia i due luoghi ebraici sia due chiese ortodosse. Il bilancio provvisorio degli attacchi parla di quattro civili e 15 agenti uccisi. Tra le persone assassinate, anche il parroco di Derbent, padre Nikolai. Sei terroristi sono stati eliminati, mentre altri sarebbero ancora in fuga. Nel doppio attacco, ha reso noto il ministero degli Esteri israeliano, non risultano vittime nella comunità ebraica o israeliane.
In tutto il Daghestan è stato dichiarato lo stato d’emergenza e tre giorni di lutto. Non ci sono state rivendicazioni, ma le tracce portano verso l’estremismo islamico e in particolare al gruppo Isis-K, già responsabile a marzo della strage al Crocus City Hall di Mosca. «Il Daghestan è una zona periferica, arretrata, dove proliferano i radicalisti islamici, e dove la barbarie antisemita si trasforma spesso in violenza», aveva spiegato a novembre a Pagine Ebraiche Alexander Grinberg, analista russo-israeliano del Jerusalem Institute for Strategy and Security. Allora il Daghestan, regione a prevalenza musulmana, era al centro delle cronache per un tentato pogrom contro i passeggeri di un aereo atterrato da Israele nell’aeroporto di Makhachkala. Urlando slogan antisemiti e contro Israele, decine di aggressori avevano avviato una vera e propria caccia all’uomo, arginata con difficoltà dalle autorità. Un momento di grave instabilità, a cui si aggiunge ora il doppio attentato. Una situazione, spiegava Gringberg, figlia «dell’assenza dello Stato. La dimostrazione evidente del fallimento del presidente Vladimir Putin, che non è un dittatore totalitario alla Stalin, ma un capo mafioso sempre più indebolito».
Assomiglia a una critica al Cremlino una dichiarazione di Gorin di queste ore. Il capo della Federazione ebraica russa traccia un legame tra la violenza in Daghestan e quella di Hamas nel giorno in cui a Mosca è attesa una delegazione del gruppo terroristico palestinese. «I terroristi non solo sparano, incendiano e tagliano la gola nel sud di Israele e in Daghestan. Nel tempo libero dalle loro attività principali, si trasformano in un “movimento politico” legittimo», denuncia Gorin, riportando dell’incontro previsto oggi tra funzionari del Cremlino e Musa Abu-Marzouk, membro del Politburo di Hamas. «Probabilmente viene per esprimere le condoglianze alle famiglie dei poliziotti daghestani uccisi», conclude con sarcasmo il rappresentante della Comunità ebraica russa.