L’INTERVISTA – Fuglsang il veterano: Qui per vincere una tappa

Rio de Janeiro, nell’estate del 2016, avrebbe potuto essere l’Olimpiade di Vincenzo Nibali. Una caduta a pochi chilometri dal traguardo vanificò però il sogno del ciclista azzurro di indossare la maglia iridata, o quantomeno di vincere una medaglia. Sul podio di quell’edizione salì così per secondo il danese Jakob Fuglsang, battuto allo sprint dal belga Greg Van Avermaet. Il risultato finora più importante di una carriera da “top”, con ottimi piazzamenti nella classifica generale del Tour de France e del Giro d’Italia e la vittoria di classiche del calibro della Liegi-Bastogne-Liegi e del Giro di Lombardia.
Fuglsang, 38 anni, è uno dei veterani del Tour de France: questo è il suo dodicesimo assoluto e il secondo con la divisa della Israel Premier Tech, che indossa dal 2022 dopo essere stato per quasi dieci anni una colonna della kazaka Astana. «Sono molto onorato di vestire questa maglia. Siamo qui per far divertire la gente, per farla emozionare», racconta l’atleta danese a Pagine Ebraiche, al termine dell’ultimo allenamento del team israeliano. Fuglsang è pronto a mettere la sua esperienza al servizio della squadra, un mix di atleti di lungo corso e giovani promesse. Nella rosa della Israel ci sono anche i tre canadesi Guillaume Boivin, Derek Gee e Hugo Houle, i due britannici Jake Stewart e Stevie Williams, il tedesco Pascal Ackermann e il lettone Krists Neilands. «Siamo un team competitivo, cercheremo di conquistare almeno una tappa», spiega a Pagine Ebraiche. Ci proverai anche tu? «Sì, certo».
È un Tour de France speciale quello al via. Non solo perché partirà per la prima volta dall’Italia, ma anche perché è la prima volta che dal 1904 non arriverà a Parigi a causa dei preparativi in corso per i Giochi olimpici. L’epilogo sarà così a Nizza. Una città in cui Fuglsang, che abita a Montecarlo, è di casa. Sarà per lui una motivazione in più «per dare il massimo».
Il campione danese ha partecipato alla celebrazione in memoria di Gino Bartali, mercoledì pomeriggio, nel giardino della sinagoga. La sua storia, quello che ha fatto per gli ebrei perseguitati dal nazifascismo, «ci lascia in eredità un messaggio di cui dobbiamo essere custodi anche noi uomini di sport: le grandi persone non vanno mai dimenticate, i loro valori devono continuare a vivere».