ISRAELE-VATICANO – Matzuzzi: per papa Francesco rapporto con ebraismo «non è un’urgenza»
Non è la prima volta che la Commissione Giustizia e Pace di Terra Santa, che opera in seno all’assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa, interviene sul conflitto a Gaza, criticando Israele. «Di note come quella diffusa il 1 luglio la Commissione ne ha pubblicate a volontà. Hanno un effetto relativo. La differenza questa volta è la reazione dell’ambasciata israeliana presso la Santa Sede», spiega a Pagine Ebraiche il vaticanista del Foglio, Matteo Matzuzzi. Nella sua nota, l’istituzione ecclesiastica sostiene che la guerra contro Hamas non possa essere definita una «guerra giusta». Poi accusa «entrambe le parti» di non «distinguere chiaramente tra civili e combattenti». E in sostanza chiede l’immediata cessazione dello scontro, senza considerare la sua origine con i massacri del 7 ottobre.
Tutte posizioni contestate duramente dalla diplomazia israeliana. A partire dal fatto che la nota «inquadra erroneamente gli eventi successivi al 7 ottobre come ‘la guerra a Gaza’, ignorando opportunisticamente gli attacchi simultanei contro Israele da Libano, Siria, Yemen e Iran». Per l’ambasciata gli ultimi nove mesi dovrebbero essere descritti come «la guerra contro l’esistenza di Israele».
Altro punto, l’accusa a «entrambe le parti» di non distinguere tra civili e combattenti. Si fa in questo modo «una falsa simmetria che riflette pregiudizi e unilateralità». I fatti, afferma la rappresentanza di Gerusalemme, mostrano come Israele faccia «del suo meglio per fare la distinzione sopra menzionata, mentre Hamas sta facendo il contrario». Non solo, il suo obiettivo è quello di mischiarsi ai civili per aumentare il numero di vittime tra la popolazione palestinese.
La Commissione poi non considera la reazione israeliana ai massacri una «guerra giusta». Ma il suo modo di definirla «non è compatibile con il diritto internazionale che Israele rispetta».
«Capisco la reazione dura dell’ambasciata», afferma Matzuzzi. «Ma l’effetto è stato di dare pubblicità a una nota che, come le altre, sarebbe passata inosservata». Per il vaticanista in ogni caso il problema va al di là del caso specifico. «È un ulteriore segnale di come i rapporti tra Israele e la Chiesa cattolica, ma anche tra ebraismo e cattolicesimo siano al loro minimo storico da anni».
Mesi fa, ricorda Matzuzzi, il rabbino capo di Roma, rav Riccardo Di Segni, ha avvertito di come il dialogo con il mondo cattolico abbia fatto dopo il 7 ottobre grandi passi indietro. In particolare a causa di preoccupanti dichiarazioni dei vertici ecclesiastici: dagli ebrei additati come vendicativi e senza pietà; alla messa in discussione della legittimità dello stato d’Israele fino all’equiparazione dei terroristi con chi cerca di eliminarli. «È significativo che a questo allarme di Di Segni sia seguito di fatto il silenzio. Una conferma implicita del regresso nei rapporti. Non dico che siamo a livello pre Concilio Vaticano II e dei perfidi giudei, ma certo siamo a livello più basso da decenni», sottolinea Matzuzzi.
Una delle cause di questa crisi, continua, è il cambio di prospettiva impresso da papa Bergoglio. «A differenza dei suoi due predecessori, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, per questioni culturali, papa Francesconon percepisce il rapporto con l’ebraismo come un’urgenza. È un papa argentino, che non ha vissuto il dramma della seconda guerra mondiale. Non percepisce le radici ebraico-cristiane dell’Europa e non pone quindi come prioritario il rapporto con l’ebraismo. Ma è uno dei tanti temi del suo pontificato». Questo declassamento, aggiunge Matzuzzi, apre la porta anche a giudizi che prima «si sarebbero soppesati molto di più nei confronti dell’ebraismo e di Israele. Dal Vaticano si pensava dieci volta prima di parlare, mentre ora il papa mette sullo stesso piano l’israeliano e il palestinese, il musulmano e l’ebreo. Tutto il portato della sofferenza del popolo ebraico si è perso. E così si giudica tutto su un livello prettamente politico. Ci si uniforma, per così dire, a quello che potrebbe dichiarare (il segretario della Nazioni Uniti Antonio) Guterres. Ma così si infligge un danno enorme al proseguo del dialogo con Israele e gli ebrei».
Matzuzzi sottolinea di capire «alcuni equilibrismi» del patriarcato in Terra Santa. «Devono comunque rivolgersi al loro gregge di cattolici cristiani e palestinesi». D’altra parte è preoccupato per «quella parte non ininfluente che guarda in cagnesco Israele e il mondo ebraico». È necessario, aggiunge il vaticanista, concentrarsi sulle figure ancora impegnate sul fronte teologico nel dialogo con l’ebraismo. Fra queste cita Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini. «Lui è preso tra due fuochi, ma è molto aperto alle questioni ebraiche e israeliane. Non è un nemico». In generale, conclude, «quando non abbiamo più i teologi, il piano politico prende il sopravvento. E in situazioni di crisi non è mai una cosa buona».
d.r.
(Nell’immagine un incontro tra il papa Bergoglio e il presidente dei rabbini d’Europa, rav Pinchas Goldschmidt )