REGNO UNITO – Alti e bassi dell’antisionismo fra Starmer e il pop

Alla vigilia delle elezioni nel Regno Unito, con la vittoria laburista annunciata dai sondaggisti, la comunità ebraica britannica può tirare un respiro di sollievo. Il partito che si appresta a tornare al potere non è più quello del terzomondismo filopalestinese di Jeremy Corbyn. Non è più un luogo impregnato di antisemitismo tanto da costringere nel 2019 il rabbino capo di Gran Bretagna, Ephraim Mirvis, a chiedere pubblicamente di votare contro il Labour. Oggi, come racconta al sito Jewish News Claudia Mendoza, direttrice del Jewish Leadership Council, il leader Keir Starmer «ha fatto molto per affrontare la questione dell’antisemitismo nel partito». E i risultati sono stati «ben visibili dopo il 7 ottobre». Starmer ha espresso netta condanna contro Hamas e solidarietà a Israele, pur chiedendo la firma di una tregua. «Se ripenso alla conferenza laburista sotto Corbyn, sono mondi completamente diversi» ha sottolineato Mendoza, riferendosi alla convention del 2019 quando tra il pubblico sventolavano bandiere palestinesi e dal palco non mancavano le accuse contro Israele.

Musica e politica a Glastonbury
Se però dalla politica britannica, almeno quella maggioritaria, la retorica anti-israeliana è stata confinata ai margini, non è così nella cultura pop d’oltremanica. Lo dimostrano i tanti slogan rilanciati durante i concerti di Glastonbury, uno dei più grandi festival di musica d’Europa. Oltre alle bandiere palestinesi tra il pubblico, sul palco alcuni artisti hanno apertamente attaccato Israele. Il trio hip-hop irlandese Kneecap ha rilanciato le cifre falsificate da Hamas sulle vittime del conflitto e cantato «Palestina libera». È stata autorizzata la presenza di uno stand in cui si distribuivano spille con l’immagine d’Israele coperto da una bandiera palestinese. Sulla stampa israeliana diversi articoli hanno descritto con preoccupazione l’evento per la sua ampiezza.
Eppure, scrive Jane Prinsley sul Jewish Chronicle, il festival «non è stato come Londra il sabato pomeriggio». Un riferimento alle grandi manifestazioni propal nella capitale del Regno Unito organizzate da mesi proprio il sabato. «Gli artisti che hanno menzionato Gaza sono stati molti meno di quelli che mi aspettavo». Il frontman dei Coldplay, Chris Martin ha invece chiesto al pubblico di «inviare cinque secondi di amore» a Israele, Palestina, Ucraina, alla Russia pacifica. In ogni caso, sottolinea Prinsley, «la gente era più interessata a ballare che a discutere di Israele e, per la prima volta da settimane, non ho sentito pronunciare una sola volta la parola “sionista”».

Le bandiere per il Nova Festival
In più, racconta, a Glastonbury si è manifestato un segno di solidarietà alle vittime del 7 ottobre. Tra le bandiere che sventolavano nel pubblico c’erano anche quelle di Liahav Eitan. Una era il vessillo ufficiale del Festival israeliano Nova, dove i terroristi palestinesi hanno assassinato oltre 360 persone. Sull’altra compariva la scritta “We Will Dance Again”. «Una frase che dopo il massacro è diventata il simbolo della solidarietà con la comunità Nova e della resistenza positiva della comunità ebraica», scrive Eitan in un lungo resoconto dei suoi giorni a Glastonbury sul sito del movimento Our Fight: For Israel, Against Anti-Semitism.
«Non potevamo camminare per cinque minuti senza che qualcuno si fermasse per abbracciarci, ringraziarci per aver portato le bandiere, fare foto con noi, ballare con noi, piangere con noi», spiega Eitan, parlando dell’inaspettata solidarietà ricevuta dal pubblico del festival. «Abbiamo incontrato tante persone straordinarie che hanno affrontato il trauma a modo loro, con un proprio gesto: dalla maglietta We Will Dance Again al braccialetto #bringthemhomenow, fino alla scritta Free the Hostages sul petto».

“We Will Dance Again”
Non sono mancati i casi di ostilità, ammette il giovane con cittadinanza israeliana e britannica, in particolare nella sua cerchia di amici più stretta. Ma nel complesso la reazione al suo gesto è andata oltre le aspettative. «Mi porto a casa la consapevolezza che, nonostante i media distorti e l’antisemitismo dilagante, abbiamo più alleati di quanti crediamo. Anche se tendono a tacere, ci sono molte persone oneste in questo paese che vogliono la nostra inclusione». Per questo secondo Eitan «la comunità ebraica dovrebbe essere più visibile, smettere di farsi intimidire e mostrare la propria identità con orgoglio. Siamo una nuova generazione ebraica e, di fronte all’odio, non ci nasconderemo e non ci inchineremo. Danzeremo ancora, e ancora, per tutto il tempo necessario».