SCAFFALE – Il libro di Guido Regina su Israele e la storia fatta anche con i “se”

Il libro di Guido Regina, Lo stato di Israele. Dalle origini al conflitto israelo-palestinese (1850-1948) (Mimesis, Milano, collana passato prossimo, 2024, pp. 357) rappresenta una ricostruzione storica di ampio respiro e grande profondità, realizzata sulla base di una rigorosa documentazione e di una ponderata consultazione della migliore dottrina internazionale sugli argomenti trattati. Il titolo (Lo stato di Israele) non rappresenta in effetti il vero contenuto del volume, come chiaramente si evince dal sottotitolo (Dalle origini al conflitto israelo-palestinese), e dall’indicazione cronologica (1850-1948). La ricognizione dell’autore si ferma infatti proprio al 14 maggio del 1948, la data della Dichiarazione di Indipendenza. «Con il 14 maggio», scrive Regina «il lungo cammino degli ebrei attraverso la storia non si era concluso. La notte stessa della dichiarazione di Indipendenza, gli eserciti di cinque Stati arabi ne avrebbero rimesso in discussione l’esistenza. Il ritorno alla Terra dei Padri si era comunque realizzato». Il libro è quindi una esposizione analitica di questo lungo cammino, fino a quello che appare il suo punto di arrivo. Di ciò che accade dopo non si tratta, e ci auguriamo che l’autore ne faccia oggetto di una sua nuova investigazione. Lo Stato di Israele come entità compiuta è la meta del lungo cammino, l’obiettivo finale di un impegno al quale hanno dedicato le loro vite e le loro energie, nelle più svariate località del mondo, tante generazioni di ebrei, impegnati nel realizzare qualcosa che pareva impossibile, ma che, si si fosse davvero voluto, come disse Theodor Herzl, non sarebbe stato soltanto una haggadà, una leggenda.

Il lungo cammino
È la storia, quindi, di quello che viene “prima”. Ma non di tutto il “prima”, perché, altrimenti, il libro avrebbe dovuto trattare dell’intera storia del popolo ebraico, che può essere tutta vista, nel suo insieme, come un “lungo cammino”, a cominciare dal primo viaggio, quello di Abramo, il primo ebreo, verso la Terra di Cana’an; e poi l’Esodo dall’Egitto, l’approdo nella Terra Promessa,  la costruzione della patria ebraica, distrutta ma mai dimenticata, in quasi diciannove secoli di diaspora, e poi ricostruita (caso unico nella storia), nella stessa terra, dal medesimo popolo, tornato a essere non solo nazione, ma anche Stato, parlante la stessa lingua, professante la medesima fede del remoto passato. Regina circoscrive l’indagine all’intenso secolo segnato dal pensiero dei precursori del sionismo (quello di Yehuda Alkalay, Zvi Hirsch Kalisher, Yosef Yivo Natonek, Moses Hess e Leo Pinsker) e poi dal grande movimento nazionalista risorgimentale promosso da Theodor Herzl, che sarebbe riuscito a persuadere una larga percentuale di ebrei del mondo (non tutti) che solo in uno Judenstaat essi e i loro figli avrebbero potuto trovare riparo dall’eterno flagello dell’antisemitismo. Sono esposte, nel libro, le vicende, le dinamiche e i retroscena dei vari Congressi sionisti, delle aliyhot, le ‘salite’ nella terra dei Padri, dei complessi e mutevoli atteggiamenti delle grandi potenze nei confronti del progetto sionista (oggetto di forti resistenze, ma anche di non poche simpatie), della Grande Guerra e del seguente sconvolgimento dell’assetto dell’Europa, del Medio Oriente e del Nord Africa, dei controversi rapporti degli ebrei nella Palestina turca e poi britannica con la popolazione locale araba (per molto tempo non segnati da ostilità, ma degenerati dopo i disordini del 1929), della Seconda Guerra Mondiale, della Shoah, del piano della spartizione della Palestina, fino, appunto, alla Dichiarazione d’Indipendenza. Fatti correttamente contestualizzati dall’autore, analizzati con grande cura ed equilibrio, ed esposti in una narrazione piana e coinvolgente, che si legge come un romanzo, la cui lettura solleva una infinita serie di domande.

Accade sempre ciò che “deve”?
La storia e i seNon è affatto vero, come una volta si diceva, che «la storia non si fa con i se». Anzi, è vero il contrario: non è buona storiografia quella che non accende la fantasia del lettore, che non lo sollecita a chiedersi cosa sarebbe accaduto, o sarebbe potuto accadere, se alcune circostanze non si fossero determinate, o se fosse accaduto qualcos’altro, se le cose fossero andate in un modo diverso. Nulla, nella storia, è ineluttabile, con buona pace di tutte le visioni deterministiche e teleologicamente orientate, che vedono nello scorrere della storia il graduale processo di maturazione e realizzazione di qualcosa che, o per intrinseco valore, o per volontà divina, deve accadere (si tratti dell’avvento del regno di Dio, dell’affermazione della dittatura del proletariato o del trionfo della libertà e della democrazia). Nulla, e credo che proprio gli anni e i mesi che stiamo vivendo confermino questa doverosa presa d’atto che il corso della storia è fatto solo di possibilità, di eventualità, di probabilità. Si può solo prendere atto di ciò che è accaduto (la cui interpretazione è, poi, sempre variabile), mentre prevedere il futuro, anche quello prossimo, è impossibile. Ed è sempre una completa illusione ritenere che ciò che è accaduto doveva accadere. Il cd. “senno di poi” ci fa credere che sia così, ma non è vero.

I se accesi dalla lettura del libro di Regina sono tanti, e sono affascinanti e inquietanti. Che sarebbe accaduto se Theodor Herzl non fosse esistito, o non avesse fatto quello che fece? O se non ci fosse stato Hitler? Se il neonato, piccolissimo stato, fosse stato sopraffatto (come logica avrebbe voluto) dagli agguerriti eserciti che, il 14 maggio 1948, volevano strangolarlo nella culla? E a ogni se corrisponde un’infinità di immagini, di ipotesi: è possibile immaginare una storia del mondo senza antisemitismo? O senza ebraismo? Ed è sicuro che Israele ci sarà per sempre? Anche se quest’ultima domanda, come tutte quelle riguardanti il futuro, non ha senso. Chi può dirsi certo che, anche tra un anno, la nostra intera civiltà esisterà ancora?

Scaffale è a cura di Francesco Lucrezi, docente di Diritti antichi all’Università di Salerno