LIBRI – Uno spicchio d’Italia fra Livorno e Asmara
«Forse ti meraviglierai di sentire che io e tutti i miei, abbiamo votato per la Repubblica e in special modo per il partito Repubblicano Mazziniano, ma non potevamo fare altrimenti, perché non potevamo votare per la Monarchia che ci aveva tradito come Italiani e come Ebrei, quindi siamo molto contenti che si sia sistemata la Repubblica e che partendo Umberto per l’estero siano quasi completamente svaniti i tentativi dei monarchici di ribellarsi alla volontà della maggioranza del popolo Italiano».
Tutto è cambiato a Livorno, in Italia, nel mondo quando il farmacista Ugo Castelli scrive questa lettera alla figlia Rita. È il 15 giugno del 1946. Le ferite del ventennio fascista e della guerra sono ancora vive. La famiglia Castelli ha superato indenne le persecuzioni, ma ha perso molto. Non è più il volto della borghesia ebraica livornese, anche perché la Comunità è tutta da ricostruire. Molti ruoli sono stati ridefiniti, ma su un elemento fondamentale i Castelli possono contare: sono ancora una famiglia. A raccontarne le vicende – un prisma per leggere un pezzo di storia ebraica e italiana – sono le oltre 600 lettere che i Castelli si sono inviati tra il 1937 e il 1947. Un carteggio raccolto, ordinato e contestualizzato dalla storica Catia Sonetti nel volume Attraversare il tempo con le parole Lettere di una famiglia ebraica da Livorno per Asmara 1937-1947 (Il Mulino). Un lavoro accurato che accompagna il lettore in un decennio di parole e grandi sconvolgimenti, raccontati attraverso le lettere dei Castelli. A mettere in mano a Sonetti il carteggio è stata Lidia Levi, figlia di Rita Castelli. È quest’ultima il fulcro di buona parte degli scambi, perché lei è quella lontana: dagli anni ‘30 vive a Asmara, in Eritrea. A Rita scrivono i genitori Ugo ed Emma, le sorelle Anna, Ada, Ilda. E un mondo di parenti vicini e lontani. Da questi scambi viene fuori uno spaccato sociale composito. Emerge il patriottismo profondo e il legame con l’Italia, poi tradito dalle leggi razziali e dalle persecuzioni. Si ritrova l’importanza dell’identità ebraica e lo scontro-incontro con l’assimilazione e la secolarizzazione. Si leggono, spiegate da Sonetti, le dinamiche di genere all’interno della famiglia, con alcune donne che trovano l’indipendenza economica. Sono proprio le donne, come sottolinea la storica, ad essere protagoniste «di questo lunghissimo fiume di parole tra la città di Livorno, da alcune piccole cittadine della Palestina, dal mare di Bolgheri o di Bibbona, che tengono in piedi la trama e l’ordito di una conversazione lunga dieci anni. Confermano che se la religione ebraica è la religione della parola, la forza e l’abitudine a farsene portavoci non sono un mero esercizio scolastico, ma qualcosa di diverso e di più profondo, qualcosa che entra a far parte della vita quotidiana». E tiene insieme uno degli elementi centrali dell’ebraismo: la famiglia. Lo scrive una parente di Rita Castelli, Giorgina Orefice Nahon, in una lettera del 14 settembre 1941. «Hanno potuto spargere questi poveri ebrei per il mondo, ma non hanno certo distrutto, né diminuito i legami di famiglia e di amicizia che anzi ora sentiamo più fortemente».
(nell’immagine in alto, Rita Castelli, terza da destra, nell’ufficio censura degli inglesi ad Asmara – archivio privato di Lidia Levi)