LA RIFLESSIONE – Baldacci: contro le contestualizzazioni a metà

Il più autorevole tentativo di contestualizzare (se non di motivare, o addirittura di giustificare) la feroce strage di civili israeliani a opera dei miliziani di Hamas il 7 ottobre 2023 è stato compiuto dal Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, che, a sei mesi di distanza da quel tragico evento, lo ha condannato con chiarezza ma ha accompagnato quella condanna a un’altrettanto dura condanna dei bombardamenti israeliani su Gaza. Contestualizzare un evento storico, sia pure anomalo nella sua ferocia, è sempre un’operazione che uno storico deve fare. Ma contestualizzare significa tener conto di tutti i fattori che hanno concorso a far sì che un evento si compia: di tutti i fattori, non soltanto di quelli che servono per confermare o rafforzare una determinata tesi.
La contestualizzazione di cui parla Guterres si riferisce alla lunga occupazione israeliana dei territori palestinesi della Cisgiordania e di Gaza. A sua volta, tuttavia, questa occupazione risale a un evento preciso, la guerra dei Sei giorni, combattuta dal 5 all’11 giugno 1967, che si concluse con la sconfitta di Egitto, Siria e Giordania e con l’occupazione israeliana della Cisgiordania, di Gaza, del Sinai, delle alture del Golan, di Gerusalemme est. A sua volta la guerra dei Sei giorni ha avuto un prima e un dopo, e di questo prima e di questo dopo si deve tener conto se si vuole davvero contestualizzare il terribile evento del 7 ottobre.
Parlare di questo prima e di questo dopo significa ripetere cose largamente note; ma evidentemente non così note se Guterres ha sentito il bisogno di riferirsi a un solo aspetto di quegli eventi e non, viceversa, al contesto generale nel quale sono maturati. Almeno alcuni eventi andrebbero richiamati alla memoria, altrimenti il contesto nel quale è avvenuto il terribile evento del 7 ottobre rischia di sfuggire completamente, e in questa assenza di riferimenti non solo prendono campo tesi come quelle di Guterres ma anche, e soprattutto, affermazioni sostenute da alcuni storici che, evidentemente, hanno dimenticato le basi stesse della disciplina nella quale dovrebbero essere maestri.
In realtà gli odiatori di Israele sono simili nelle invettive contro Israele, diversi nelle proposte. Tanto per avere un riferimento testuale, nelle prime righe di un libro di Enzo Traverso (Gaza davanti alla storia) si parla di «furia devastatrice e omicida scatenata da Israele». Enzo Traverso è definito nella IV di copertina «uno dei più autorevoli storici del nostro tempo», e in effetti insegna alla Cornell University di Itaca (N.Y.): ma quale autorevolezza può avere uno storico che inizia il suo testo con la citazione che abbiamo riportato? In realtà è lo stesso Traverso a sostenere che «la storia della Guerra a Gaza sarà scritta nei decenni a venire», e quindi non è arbitrario riferirsi al suo testo non come all’opera di uno storico ma come a un insieme di invettive che hanno come unico bersaglio lo Stato di Israele. Anche Traverso, come Guterres, invoca il riferimento al contesto; ma quale contesto se si ignorano completamente le vicende che hanno preceduto la guerra dei Sei giorni e la lunga storia di attentati terroristici che hanno segnato la storia di Israele – e non solo di Israele – nel corso di decenni?
Ma poiché il testo di Traverso viene presentato come l’opera di uno «storico autorevole», almeno una delle sue tesi va riportata: secondo lui lo slogan «free Palestine from the river to the sea» non significa, come tutti sanno e in particolare sanno coloro che lo scandiscono nei cortei organizzati in tutto il mondo, eliminazione dello Stato d’Israele e distruzione del popolo ebraico: no, secondo Traverso significa creazione di uno «stato binazionale». Eppure uno storico dovrebbe sapere che la proposta di uno stato binazionale è stata avanzata in passato ed è stata rifiutata da tutti, palestinesi per primi, e certamente non è quella a cui pensano coloro che nelle manifestazioni scandiscono lo slogan «from the river to the sea».

Valentino Baldacci