SHIRIM – «La strega», Primo Levi

A lungo sotto le coltri
si strinse contro il petto la cera
finché divenne molle e calda.
Sorse allora, e con dolce cura,
con amorosa paziente mano
ne ritrasse l’effigie viva
dell’uomo che le stava nel cuore.
Come finì, gettò sul fuoco
foglie di quercia, di vite e d’olivo,
e l’immagine che si struggesse.

Si sentì morire di pena
perché l’incanto era avvenuto,
e solo allora poté piangere.

Avigliana, 23 marzo 1946

Il testo di Primo Levi (Torino, 31 luglio 1919 – 11 aprile 1987) descrive il rituale di un incantesimo volto a legare la vittima all’incantatrice e, verosimilmente, a prendere la sua vita.
Affinché l’incanto abbia buon esito, la strega deve parteciparvi: la cera, sventurata materia da cui verrà tratto il volto designato, sarà, all’uopo disciolta, resa docile tramite il calore del suo corpo. Come se quelle sole membra, tese nella bramosia di piegare le cosmiche leggi alla turpe volontà umana, custodissero la forgia plasmatrice, la fiamma primordiale in grado di infondere la vita.
Il contatto perdurante, covato nel buio delle coltri, produce, infine, il frutto anelato. L’incantatrice lascia il giaciglio ove un dì sorse quello stesso sogno e, dolcemente, la mano condotta da un indicibile amore, estrae dalla materia molle l’effige amatissima, quasi che l’atto del plasmare le avesse reso la benedizione di sfiorare, carezzevole, il volto diletto.
Ma l’opera crudele ha da essere compiuta. L’intenerimento fugace non vale a fermare la mano fatale, sospinta come da un dio maligno. L’immagine, forgiata appena, ha da struggersi nuovamente, nel vivo fuoco di complici erbe: la vite, che s’abbarbichi, la quercia, che rafforzi, l’olivo, che sia tramite.
L’abietto disegno è compiuto, la strega può ritrarsi. E allora la pena tutta del non amore, il desio funesto del dare la morte dissanguano, della trista, spirito e corpo. Si troverà, l’infelice, prostrata, malata d’una morte non tarda a esser sua. L’alcova mortifera, desolata.
E il fatale sogno, covato, oscuramente, spiegherà le trucide ali, imperscrutabili.

Shirim è a cura di Mariateresa Amabile, poetessa e docente di Diritti Antichi all’Università di Salerno