OLIMPIADI – La torcia tra le mani di un sopravvissuto alla Shoah

Tra il 16 e il 17 luglio del 1942 il regime collaborazionista francese mise in atto la retata del “Velodromo d’Inverno”, il più grande rastrellamento di ebrei destinati alla deportazione in campo di sterminio. Alla vigilia dell’anniversario un sopravvissuto alla Shoah, il 94enne Léon Lewkowicz, ha portato per circa duecento metri la torcia olimpica nel suo viaggio verso la cerimonia inaugurale dei Giochi, proprio davanti al memoriale eretto in ricordo delle vittime del rastrellamento. Campione francese di sollevamento pesi nel 1955, Lewkowicz è nato nella polacca Lodz nel 1930 ed è sopravvissuto alla deportazione ad Auschwitz-Birkenau e alla successiva “marcia della morte”. La sua nuova vita è iniziata in Francia, a quindici anni, insieme ad oltre quattrocento bambini ebrei scampati al massacro. «Pesavo appena trenta chili quando sono uscito dal lager», ha raccontato Lewkowicz in una intervista, sottolineando come l’attività sportiva l’abbia aiutato nel difficile processo di ricostruzione di un’esistenza.
Al suo fianco ieri c’era tra gli altri Yonathan Arfi, il presidente del Consiglio degli ebrei di Francia (Crif). Arfi è nipote a sua volta di uno sportivo di fama nazionale, Alfred Nakache, campione di nuoto deportato ad Auschwitz insieme alla moglie e alla figlia, entrambe assassinate. Nakache rappresentò la Francia alle Olimpiadi di Berlino del 1936 e di nuovo lo fece ai primi Giochi post-bellici di Londra del 1948. A Berlino la staffetta francese con dentro Nakache arrivò quarta, proprio davanti ai padroni di casa della Germania. Uno smacco non semplice da digerire per il dittatore nazista Adolf Hitler, costretto in quegli stessi Giochi a dover elaborare i successi della “freccia nera” Jesse Owens sulla pista d’atletica.