SCAFFALE – Capire gli ebrei per capire sé stessi

Nel 1994, il Rabbino capo di Roma, il grande e indimenticabile Elio Toaff, pubblicava un libro-intervista, Essere ebrei, edito da Bompiani, nel quale rispondeva alle domande di Alain Elkann sul significato dell’identità ebraica. Un libro di grande importanza, che aiutava non solo gli ebrei a capire cosa fossero, o potessero o dovessero essere, ma anche tutti gli uomini a capire quale sia o possa essere la loro identità, e come essa si possa forgiare, trasmettere, trasformare, attraverso un continuo confronto con se stessi e col mondo esterno. Perché ogni identità non è mai qualcosa di statico e immobile: credo che nessuno, alla fine della propria giornata, possa dirsi sicuro di essere la stessa persona che era all’inizio della stessa. E, se ciò è vero per una singola persona, ancor più lo è per un popolo, una religione e una tradizione che coinvolgono milioni di persone diverse.

Come insegnano i saggi, la parola Adam è scomponibile in due sillabe, l’alef iniziale e il successivo dam, che vuol dire sangue. Gli uomini sono tutti uguali, perché hanno tutti lo stesso sangue rosso, ma sono anche tutti diversi, perché ognuno di loro è segnato da un unico e irripetibile alef. E ciò, ovviamente, vale anche per gli ebrei, quantunque inesorabilmente condannati, da una millenaria distorsione, a essere monoliticamente raggruppati nella immaginaria prigione di un’identità fissa, piatta e unica, che, tutti insieme, li accomuna e (spesso) li condanna: sono, dicono, pensano, fanno…

Esattamente trent’anni dopo, viene oggi pubblicato un libro – frutto di un lungo percorso di investigazione e riflessione – di altrettanto interesse, molto diverso dal primo come impostazione, oggetto della ricerca, formazione culturale e impostazione ideologica dell’autore, il famoso demografo Sergio Della Pergola (che al Rabbino, com’è noto, è stato legato per lunghi decenni da uno stretto dialogo intellettuale e sodalizio familiare, essendone il genero).

Il titolo è uguale a quello del 1994, con l’aggiunta di una parola che aggancia l’indagine al momento attuale (forse il più difficile, com’è noto, per l’ebraismo mondiale, dopo la Seconda Guerra Mondiale) e che dà il segno del tempo trascorso: Essere ebrei, oggi. Continuità e trasformazioni di un’identità, Il Mulino, pp. 224.

L’autore inizia la sua investigazione con una serie di domande: «La popolazione ebraica nel mondo e nei maggiori paesi è in aumento o in diminuzione? Nel corso del tempo gli ebrei diventano più religiosi o meno religiosi? Sono più uniti fra di loro o più divisi secondo linee ideologiche, politiche e religiose? Sono sempre più integrati e assimilati nel contesto della società in cui vivono oppure sono sempre più isolati fra loro stessi? Sono maggiormente accettati dall’ambiente circostante o più contestati e discriminati?».

Fornire risposte certe a tali domande (tranne, forse, la prima, che presenta un livello di oggettività: ma forse neanche questo è vero, dal momento che la stessa concezione di chi possa dirsi o essere riconosciuto come “ebreo” è controversa) è, ovviamente, alquanto arduo, ed è difficile trovare solo due persone che la pensino allo stesso modo. Ma Della Pergola, forte del rigore scientifico della sua lunga e prestigiosa carriera accademica, basa la sua indagine su una serie di sondaggi condotti su larga scala, che hanno visto coinvolte decine di migliaia di persone, in molti Paesi, e ai quali egli stesso ha collaborato. Segnatamente: il sondaggio del 2013 sugli ebrei degli Stati Uniti realizzato dal Pew Research Center di Washington, specializzato negli studi sulla religione; quello del 2015, ancora del Pew Research Center, riguardanti le identità, gli atteggiamenti e le percezioni politiche nella popolazione d’Israele; quello del 2018 dell’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione Europea sulla percezione dell’antisemitismo e della discriminazione nella popolazione ebraica in 12 Paesi dell’Unione Europea, fra cui l’Italia. Sono anche stati utilizzati i materiali raccolti da altre importanti ricerche sugli ebrei italiani, a diversi delle quali ha collaborato lo stesso autore, fin dal lontano 1965. Nel libro, quindi, confluiscono elementi raccolti in un’intera vita di studio, e le varie elaborazioni dei dati vengono riformulate in una nuova versione, offerta ai lettori con grande chiarezza e capacità comunicativa.

«Prima di tutto», avverte l’autore, «occorre comprendere che l’ebraismo è un complesso di elementi cognitivi, esperienziali ed affettivi. Può essere, quindi, osservato e classificato, ma anche percepito e vissuto, sia come un insieme di individui separati sia come un collettivo consolidato e più o meno coerente». È lo stesso oggetto dell’indagine, quindi, a essere, per sua stessa natura, prismatico e sfuggente a un preciso e definito inquadramento categoriale.

L’identità, ricorda l’autore, determina generalmente dei comportamenti, delle azioni: «Se una persona crede in un atto o in un oggetto simbolico o reale, è probabile, anche se non certo, che questa credenza si manifesti in modo concreto e quindi misurabile». Ma può anche accadere il contrario: può infatti «verificarsi anche un’influenza simmetrica, se e quando le convinzioni, le emozioni o i sentimenti interiori (identità) diventano la conseguenza piuttosto che la causa delle opinioni espresse o delle azioni manifestate (identificazione)». Ossia, «in seguito alla ripetizione magari formale e meccanica di atti o di opinioni, una persona può finire per immedesimarvisi”.

La ricerca di Della Pergola, perciò, va necessariamente al di là dell’ambito meramente sociologico e demoscopico, investendo anche i molteplici aspetti intellettuali ed emotivi scaturenti dalla “diade contenuti-identificazione”, e collegandosi a domande di tipo interiore e psicologico: che cosa gli ebrei pensano sia l’ebraismo? perché sono legati all’ebraismo? come esprimono la loro identificazione con esso?

Attraverso pagine di rara lucidità analitica, basate un una rigorosa documentazione e corredate da immagini e grafici di grande utilità didattica, l’autore fa emergere un quadro denso di aporie e contraddizioni, che spesso sorprenderà anche chi pretenda di avere un po’ di esperienza in materia di ebraismo.

Impossibile, ovviamente, sintetizzare in poche righe i risultati della ricerca, anche perché essi appaiono costellati di punti interrogativi. «Come già più volte in passato», conclude l’autore, «i drammi e i dilemmi che coinvolgono la compagine ebraica, e i modi con cui questi sono affrontati nel dominio pubblico, finiscono per costituire una cartina di tornasole della coscienza e della civiltà del presente, e allo stesso tempo interrogano la storia mettendo in discussione alcune delle categorie con le quali l’abbiamo fin qui letta. Da qui dovrà partire domani una nuova pagina sull’essere ebrei oggi».

Diciamo solo che il volume fa capire tantissimo non solo sull’ebraismo, ma anche su quel “resto del mondo” che ad esso si mostra, da sempre, tanto interessato, spesso in modo malato, torbido e morboso. E che dovrebbe essere letto da chiunque voglia capire qualcosa di più di quella “coscienza e civiltà del presente” di cui la percezione dell’ebraismo rappresenta la “cartina di tornasole”.

Scaffale è a cura di Francesco Lucrezi, docente di Diritti antichi all’Università di Salerno