UGEI – Incontro con Cividalli, veterano della Brigata ebraica

Tra gli ultimi volontari della Brigata ebraica ancora in vita, Piero Cividalli è nato a Firenze nel 1926 in una famiglia dalla solida tradizione antifascista.
Aveva 11 anni quando l’assassinio in Francia di Carlo e Nello Rosselli confermò che quella era la parte giusta in cui stare, nell’Italia fascista sempre più vicina a inabissarsi nell’antisemitismo di Stato. «Carlo e Nello erano amici di famiglia, con le figlie di Nello giocavo spesso. Quell’evento ha risvegliato in me sentimenti profondi», ha spiegato Cividalli a Pagine Ebraiche in una recente intervista, sottolineando come l’approdo alla Brigata ebraica dopo l’emigrazione post-leggi razziste nell’allora Palestina mandataria, il futuro Stato d’Israele, abbia rappresentato per lui «una naturale conseguenza» di tutto ciò che era nel frattempo avvenuto nell’Europa sotto la morsa del nazifascismo. Questa storia l’ha spesso raccontata in pubblico, con l’obiettivo di far conoscere agli italiani non solo la propria vicenda personale, ma anche dove li abbia portati «il fascismo e quel falso desiderio di gloria nazionalistica». Lo farà di nuovo questo pomeriggio, alle 18.30, ospite di un’iniziativa online dell’Unione Giovani Ebrei d’Italia.
«In un momento storico dove la memoria della Brigata ebraica viene profanata, è un dovere morale e civico mantenere vive le testimonianze di chi ha combattuto per la nostra libertà», spiega l’Ugei nel promuovere l’incontro con il 98enne Cividalli, «ultimo veterano ancora in vita della piccolissima pattuglia di ebrei italiani» volontari in quella formazione. Cividalli partecipò anche alla guerra del 1948 per l’indipendenza di Israele e alle guerre del 1956, 1967 e 1973 in qualità di infermiere dell’esercito. Lo scorso 25 aprile le cronache hanno registrato la sua angoscia per il clima di questi mesi in Italia. «Sono amareggiato oltre ogni dire, mi sembra di essere tornato al 1938 e l’idea di ritrovarmi in un’Italia ostile a noi ebrei mi ripugna», ha dichiarato al Giornale, motivando con queste parole la decisione di non partecipare a un ciclo di conferenze in programma tra Milano, Torino e Brescia sulla Festa della Liberazione e il contributo degli oltre 5mila volontari accorsi allora, proprio come fece lui, nel nome della libertà.