OLIMPIADI – Speranze e storie delle atlete e degli atleti ebrei
A Parigi tutto è pronto per l’avvio della cerimonia inaugurale delle Olimpiadi. Tra minacce di attacchi terroristici e sabotaggi delle rete ferroviaria, la capitale si appresta a salutare sfilata degli atleti. Per la prima volta non avverrà all’interno di uno stadio: sulla Senna compariranno 85 imbarcazioni con a bordo le delegazioni dei diversi paesi partecipanti. Israele e Italia, per una questione alfabetica, saranno sullo stesso battello rappresentanti dai rispettivi portabandiera. A tenere in alto la bandiera con la Stella di Davide saranno il nuotatore Andi Murez e il judoka Peter Paltchick; il tricolore sarà affidato al saltatore in alto Gianmarco Tamberi e alla schermitrice Arianna Errigo. Tutti e quattro puntano a una medaglia, così come l’australiana Jessica Fox, considerata la più grande canoista di slalom individuale di sempre. Per lei è la quarta Olimpiade e quattro sono le medaglie fino ad ora conquistate. Un bottino che Fox, scelta dal suo paese come portabandiera, spera di aumentare in questa edizione parigina. Per lei, figlia dell’atleta ebrea francese Myriam Jerusalmi e del britannico Richard Fox, competere in Francia rappresenta un ritorno alle origini. Nata a Marsiglia nel 1994, a quattro anni si trasferì con la famiglia in Australia, iniziando a undici anni la sua carriera da canoista, allenata dalla madre, bronzo per la Francia alle Olimpiadi di Atlanta. «Ovviamente il legame con la Francia è molto forte e sarà un momento meraviglioso, speciale e unico poter unire le mie due culture: quella francese e quella australiana», ha sottolineato Fox. Due identità a cui si unisce quella ebraica. «È bello avere il supporto della comunità», ha raccontato la campionessa al sito Kveller nel 2021. Parole pronunciate prima delle Olimpiadi di Tokyo in cui poi ha conquistato il suo primo oro. A Parigi è pronta a ripetersi e al suo fianco ci sarà, oltre alla madre allenatrice, anche la sorella Noemi.
Per molti atleti Parigi rappresenta il debutto ai Giochi. Ad esempio lo sarà per la nuotatrice americana Claire Weinstein, 17 anni. Il 28 luglio si tufferà in vasca per strappare un buon piazzamento nella 200 m stile libero. Su di lei il team Usa punta molto, soprattutto per il futuro. Ma già a Parigi potrebbe salire sul podio. Del resto alle qualificazioni nazionali è arrivata a pochi centesimi da Katie Ledecky, sette volte medaglia d’oro olimpica, che punta a riconfermarsi. Insieme le due parteciperanno alla staffetta 4×200 stile libero. L’agenzia di stampa ebraica Jta ricorda che per il suo bat mitzvah Weinstein ha sposato un progetto di volontariato per avviare i bambini al nuoto, oltre a sostenere un’associazione che aiuta i giovani nuotatori ad allenarsi.
Altra debuttante sarà Sarah Levy, titolare della selezione femminile Usa del rugby a sette. Nata a Cape Town, come per Fox lo sport fa parte dell’eredità di famiglia. Il nonno Louis Babrow è stato una star della squadra sudafricana degli anni Trenta. Di lui il canaleEspn ha ricordato un episodio legato a Yom Kippur: nel 1937 la selezione sudafricana – Sprinboks – doveva recarsi in Nuova Zelanda per un match chiave contro gli All Blacks. La partita coincideva però con il giorno più sacro per l’ebraismo e Babrow, per rispettarlo, non sarebbe potuto scendere in campo. Per aggirare il divieto, trovò una sua risposta alla questione, non fondata sulla legge ebraica. Al suo allenatore disse: «Sono un ebreo sudafricano, non un ebreo neozelandese e c’è un fuso orario di otto ore tra Nuova Zelanda e Sudafrica. Quando giocheremo, Yom Kippur non sarà ancora iniziato in Sudafrica». Gli Springboks vinsero quella partita e Babrow fu uno degli uomini chiave. Ma, per sua scelta, quella fu la sua ultima apparizione da rugbista professionista. Tornato in patria divenne medico ed entrò nell’esercito britannico, servendo nella seconda guerra mondiale. Partecipò alla battaglia di Dunkerque, fu ferito a El Alamein, servì anche in Italia. Tornato in Sudafrica, divenne uno strenuo oppositore del sistema dell’apartheid. Un uomo di grande tenacia e valori, ha raccontato la nipote, fonte per lei d’ispirazione.
Per molti atleti Parigi rappresenta il debutto ai Giochi. Ad esempio lo sarà per la nuotatrice americana Claire Weinstein, 17 anni. Il 28 luglio si tufferà in vasca per strappare un buon piazzamento nella 200 m stile libero. Su di lei il team Usa punta molto, soprattutto per il futuro. Ma già a Parigi potrebbe salire sul podio. Del resto alle qualificazioni nazionali è arrivata a pochi centesimi da Katie Ledecky, sette volte medaglia d’oro olimpica, che punta a riconfermarsi. Insieme le due parteciperanno alla staffetta 4×200 stile libero. L’agenzia di stampa ebraica Jta ricorda che per il suo bat mitzvah Weinstein ha sposato un progetto di volontariato per avviare i bambini al nuoto, oltre a sostenere un’associazione che aiuta i giovani nuotatori ad allenarsi.
Altra debuttante sarà Sarah Levy, titolare della selezione femminile Usa del rugby a sette. Nata a Cape Town, come per Fox lo sport fa parte dell’eredità di famiglia. Il nonno Louis Babrow è stato una star della squadra sudafricana degli anni Trenta. Di lui il canaleEspn ha ricordato un episodio legato a Yom Kippur: nel 1937 la selezione sudafricana – Sprinboks – doveva recarsi in Nuova Zelanda per un match chiave contro gli All Blacks. La partita coincideva però con il giorno più sacro per l’ebraismo e Babrow, per rispettarlo, non sarebbe potuto scendere in campo. Per aggirare il divieto, trovò una sua risposta alla questione, non fondata sulla legge ebraica. Al suo allenatore disse: «Sono un ebreo sudafricano, non un ebreo neozelandese e c’è un fuso orario di otto ore tra Nuova Zelanda e Sudafrica. Quando giocheremo, Yom Kippur non sarà ancora iniziato in Sudafrica». Gli Springboks vinsero quella partita e Babrow fu uno degli uomini chiave. Ma, per sua scelta, quella fu la sua ultima apparizione da rugbista professionista. Tornato in patria divenne medico ed entrò nell’esercito britannico, servendo nella seconda guerra mondiale. Partecipò alla battaglia di Dunkerque, fu ferito a El Alamein, servì anche in Italia. Tornato in Sudafrica, divenne uno strenuo oppositore del sistema dell’apartheid. Un uomo di grande tenacia e valori, ha raccontato la nipote, fonte per lei d’ispirazione.