SHIRIM – Cantico dei Cantici III (1, 7-8)

“Raccontami tu, che io amo: dov’è che vai al pascolo?

Dove lasci stendere il gregge al mezzogiorno?

Perché non voglio diventare come una di quelle col velo

vicino alle greggi dei tuoi compagni”.

“Se non lo sai, tu, la più bella fra le donne,

va’ fuori e segui le tracce del gregge,

porta le tue caprette a pascolare

vicino ai ripari dei pastori”.

I versi immortali del Cantico dei Cantici, qui nella traduzione di Piero Cappelli, risuonano come freschi rintocchi di campane dopo un’acqua serena. Srotolano come un velo azzurro di giovinezza e di sogni, vividi fuochi dorati, carezzevoli, sempre vicini al cuore. Nel leggere si viene rapiti come da una mollezza di spirito, un desiderio di lacrime e conforto che sorprende e incanta. E si vorrebbe, in una volta sola, fare ritorno ai verdi anni in cui profondi aneliti ristavano misteriosi, e li si avvertiva pulsare forte nelle vene come tanti fiori che si insinuassero nel sangue e lo suggessero, iniettando nel corpo, al contempo, una febbre di vita, uno struggimento, un bisogno di svelarsi e nascondersi, rinvenire nelle notti sentieri segreti, percorrerli avidamente, scalzi, imprimendo in essi l’urgenza assoluta di vivere e morire.

È così che il dialogo tra i due avviene come interiormente, bisbigliato, di là dal clamore della piazza omologante e sicura, ove ogni sentire pare mutarsi in comune mercede. Ma il cristallino domandare s’abbatte come di schianto sulla liquida quiete del giorno. Contiene l’ardore intero del cuore, l’adamantina purezza spogliata d’ogni nascondimento. Domandare, con ardire di bimbo, nudamente, per sapere, nessun vano celarsi. Apprendere così, semplicemente, la via per mutare in realtà il sogno.

Il mezzogiorno di sole custodirà l’attesa e gli amori tenendoli nel palmo, al sicuro tra fronde incantate, cullandoli del placido sonno dei benigni animali. Ma perché ciò accada, occorre che il silente, intimo fuoco, viaggi sanguigno sotto terra, nelle impronte fangose dei capri, lesti a ferire con lo zoccolo denso il terreno puntuto di sassi. E la più bella tra le donne giungerà, per le buone bestie traghettatrici, incontro all’amato nascosto, in attesa, nei dolci ripari del mezzogiorno.

Shirim è a cura di Mariateresa Amabile, poetessa e docente di Diritti Antichi all’Università di Salerno