ISRAELE – Il ricordo di Millar e il futuro dei drusi del Golan

Millar Maadad al-Shaar sorride timido davanti alla telecamera. È un bambino di dieci anni, ama il calcio e indossa la maglia dei suoi idoli del Real Madrid. Con innocenza legge un breve testo in ebraico che si è preparato. «Io e te cambieremo il mondo. Faremo tutto con amore e speranza. Siamo tutti amici, tutti fratelli. Vogliamo vivere in pace e tranquillità. Vogliamo la pace per tutto il mondo». Un messaggio semplice, registrato nel corso della lunga guerra innescata contro Israele dai terroristi di Hamas a Gaza con la collaborazione a nord di Hezbollah. Una guerra che si è portata via il piccolo Millar. Il 27 luglio era insieme ad amici e parenti a giocare nel campetto da calcio del suo villaggio, Majdal Shams, sulle alture del Golan. Un razzo di Hezbollah, sparato dal vicino Libano, ha centrato il campetto, uccidendo Millar e altri undici ragazzi tra i 10 e 16 anni. «Nel nostro villaggio siamo tutti una grande famiglia e ognuno di quei ragazzi era nostro figlio», ha spiegato a ynet Nael Ebrahim, padre del tredicenne Julian, ferito nell’attacco. «C’è grande rabbia. Sono stati colpiti bambini che giocavano a calcio e volevano solo divertirsi. Il loro sogno era quel campo da calcio. Non doveva essere un luogo di razzi, di politica, di disastri, ma di sogni».
Il padre di Millar, racconta il giornalista dell’emittente Kan Rubi Hammerschlag, ha chiesto di far circolare il video del figlio per lanciare un messaggio di pace in un momento molto difficile per la comunità drusa d’Israele. Circa 150mila persone parte di una tradizione che si è staccata dall’Islam nell’XI secolo e da allora professa una religione propria. In tutto si stima che i drusi siano quasi due milioni nel mondo, concentrati soprattutto in Medio Oriente, tra Siria, Libano, Israele e Giordania.

I drusi del Golan

L’attacco di Hezbollah è una ferita che avrà ripercussioni importanti su questa minoranza, prevede sul sito The Conversation Rami Zeedan, professore di Israeli Studies all’Università del Kansas. Zeedan ricorda come Majdal Shams e i tre villaggi gemelli delle alture del Golan – Mas’ade, Buq’ata e Ein Qiniyye – rappresentino un’eccezione nello stato ebraico. Da quando Israele nel 1967 ha conquistato l’area, i drusi qui hanno sempre rivendicato le loro radici siriane. I pochissimi hanno riconosciuto nel 1981 la decisione di Gerusalemme di estendere sulle alture del Golan la propria sovranità. A differenza del resto della comunità sparsa per Israele e pienamente integrata – tanto da far parte dell’esercito –, i drusi del Golan «si considerano siriani», spiega Zeedan. «La maggior parte ha rifiutato la cittadinanza israeliana, anche se la legge di annessione del 1981 consente loro di ottenerla». Nell’ultimo decennio però qualcosa è cambiato. «Tra il 20 e il 25% della comunità del Golan è diventata israeliana».
Durante i funerali dei dodici bambini uccisi da Hezbollah, i rappresentanti del governo israeliano sono stati contestati. L’accusa è di aver abbandonato i villaggi del nord al proprio destino. Ma la rabbia è soprattutto diretta verso i terroristi libanesi: «Satana (Hezbollah) sarà distrutto», scandivano gli abitanti di Majdal Shams in una manifestazione all’indomani dei funerali. «L’attacco avrà un impatto significativo sulle comunità druse. Potrebbe allontanare ulteriormente i drusi del Golan dalla loro identità siriana, creando un destino più condiviso con Israele», scrive Zeedan, a sua volta parte della comunità drusa. La tragedia potrebbe essere l’occasione «per espandere l’integrazione dei drusi del Golan nella società israeliana, analogamente agli altri drusi del paese».