MUSICA – Salmo 127 e inspiegabili moltiplicazioni

All’indomani delle Leggi di Norimberga, musicisti con passaporto tedesco o austriaco ripararono in Gran Bretagna ottenendo asilo politico; furono chiamati Émigré, termine francese già utilizzato sia nei riguardi degli ugonotti costretti nel 1685 a lasciare la Francia che nei riguardi di membri della corte di re Luigi XVI espatriati per sfuggire a vendette repubblicane durante la Rivoluzione francese.
Allo scoppio della Guerra furono internati in territorio britannico, sull’isola di Man – dipendenza della Corona – o trasferiti in Paesi del Commonwealth in base alle leggi vigenti in tempo di guerra poiché formalmente appartenenti a Stato belligerante, in teoria un pericolo per la sicurezza nazionale.
Furono classificati Enemy Aliens suddivisi in varie categorie: A (arresto immediato), B (messi in custodia a partire da maggio 1940 dopo l’evacuazione di Dunkerque), C (principalmente ebrei). A partire da maggio 1940 gli Enemy Aliens di tipo C furono invitati a trasferirsi in Canada presso campi di internamento civile aperti in Québec, Alberta, Ontario.
Rabbino della sinagoga riformata di Brunenstrasse a Berlino, Boaz Bischofswerder (foto accanto) scrisse inni religiosi con accompagnamento di organo o pianoforte, lasciò la Germania nel 1933 e riparò a Londra; allo scoppio della guerra fu internato e nel 1940 imbarcato con uno dei suoi due figli, Felix, sulla HMT Dunera diretta a Sidney. Sulla nave scrisse Phantasia Judaica per quattro tenori.
Internato nel campo di Hay, riscrisse Phantasia Judaica per violino e pianoforte (unici strumenti disponibili nel campo), successivamente trasferito a Tatura scrisse brani originali e arrangiamenti di musiche di Louis Levandowsky; da citare Jir’u Eynenu, En Kelohenu e J’hi scholom b’chelech per coro maschile, Mi Addir e Sheva B’rochoth per baritono e pianoforte.
Liberato nel 1944 in cattive condizioni di salute, rimase in Australia ma morì due anni dopo; sono pervenute in musicassetta due registrazioni di brani tradizionali ebraici cantati dallo stesso Bischofswerder (El Male Rachamim e Lehu Nerann’no) stesi in partitura presso lo Archive of Australian Judaica dell’Università di Sydney.

 

Felix Werder (Bischofswerder, foto accanto), figlio di Boaz, fu internato e imbarcato sulla HMT Dunera con suo padre e trasferito in Australia; a Tatura stese in partitura alcuni frammenti di opere di G.F. Händel e W.A. Mozart per sopperire alla mancanza di repertorio musicale da eseguire in concerto; nel 1943 scrisse Ac tomos per violino e voce maschile (rielaborata per orchestra d’archi dopo la guerra).
Nel 1944 completò la Symphony no.1 op.6 (revisionata nel 1952), Off and Running per clarinetto e orchestra, Psalm 127 op.32 per coro misto e strumenti; opere di complessa stesura orchestrale concepite in un linguaggio avanguardistico che guarda oltre il puntillismo di Anton Webern.
Liberato nel 1944, come suo padre rimase in Australia dedicandosi a composizione e musica elettronica, nel 1955 la Sydney Symphony Orchestra eseguì il suo poema sinfonico Balletomania, tra le sue opere teatrali Kisses for a Quid, Agamemnon, The Vicious Square, The Conversion; nel 1988 fu insignito del dottorato in Musica dall’Università di Melbourne, morì nel 2012 a Melbourne.
Sono sempre stato affascinato da quest’uomo figlio di un rabbino che decise di tagliare di netto la prima parte del nome di famiglia (Bischofs-); grazie al musicologo tedesco Albrecht Dümling – artefice del progetto di ricerca Musica Reanimata di Berlino – conosciamo il percorso storico che accomunò i due musicisti dal loro esilio britannico al loro esilio forzato dall’altra parte del pianeta.
Nel campo di Hay, Werder studiò Also sprach Zarathustra di F. Nietzsche mentre a Tatura scoprì l’opera del poeta e filosofo tedesco Johann Gottfried Herder, letture filosofiche e umanistiche che influenzarono radicalmente il suo linguaggio compositivo; la sua Symphony no.1 op.6 scritta a Tatura è lunare, urla nel suo sfrenato puntillismo, nella partitura improvvisamente compaiono vuoti fisici di battute a esprimere spazi cosmici non ancora occupati.
Werder era pienamente immerso nella cultura tedesca, l’internamento non affievolì ma rinsaldò il legame ancestrale con la sua nazione di nascita e spirito; paradossalmente, mentre numerosi ex internati fuggirono precipitosamente dall’Australia dopo la Guerra per tornare nel loro Paese, il profondamente tedesco Werder rimase in Australia per sempre.
Nel 2004 tormentai biblioteche e centri universitari di Sidney e Melbourne sino a quando alla fine ottenni l’indirizzo civico di Felix Werder; il Maestro era in età molto avanzata, gli scrissi una lettera a mano chiedendogli di inviarmi le partiture scritte a Tatura.
Dopo sei mesi mi arrivarono da parte di un centro musicale australiano le partiture ben rilegate scritte da Werder a Tatura e una lettera dattiloscritta di Werder con le fotocopie allegate del Psalm 127 op.32, scritto a Tatura e mancante nell’altro plico.
Tuttavia, controllando attentamente la partitura, mi accorsi che il Psalm 127 era mancante di una pagina, sicuramente saltata durante la fotocopiatura; era un gran problema, a causa di quel foglio mancante rischiavo di non avere l’intero repertorio musicale concentrazionario di Werder.
Mi permisi di riscrivergli, dopo qualche mese mi arrivò soltanto una lettera dattiloscritta; Werder si scusava ma mi comunicava che non era più in grado di mettere nuovamente mano a quel materiale, essendo ormai troppo vecchio e stanco (“I am now too old and tired”, Melbourne 25.5.2005).
La mia storia con Werder ahimè finiva lì, non avrei mai osato scrivergli una terza lettera per insistere in merito alla pagina mancante; tuttavia un anno dopo, mentre ero ad Atlanta, un caro amico che aveva facile accesso a biblioteche australiane si impegnò a procurarmi il Psalm 127.
Insieme al Psalm 127 completo arrivarono le Songs dei prigionieri di guerra australiani a Changi.
Ancora una volta due situazioni ricorrenti: da un lato il rapporto con i compositori molto avanti con l’età, rapporto basato sul profondo rispetto nei confronti di questi uomini straordinari, rapporto delicato nel quale toccare alcune corde provoca talora reazioni inaspettate.
Dall’altro lato, questo inspiegabile meccanismo in virtù del quale, se si perde una musica se ne ritrovano due o tre o cento; in questa ricerca, un incantesimo moltiplica tutto ciò che si tocca.
Sebbene la guerra russo-ucraina abbia complicato le ricerche in loco a Kyiv o Mosca (alcune opere giungono tramite corriere via Londra), sono anni fortunati per la ricerca musicale concentrazionaria; archiviare, suonare, promuovere la musica scritta in Ghetti, Campi e Gulag costituisce un importante traguardo generazionale e politico ma è necessario che questa musica acceda a profili di bene artistico e culturale, che passi da uno status di eccezionalità a quello di normalità.
È ciò che gli autori di questa musica avrebbero voluto; chi ha scritto queste opere, sopravvissuto o meno, non avrebbe desiderato altro che un giorno esse fossero eseguite accanto a quelle di Mozart, Brahms, Boulez o più modestamente in sessioni jazz, su un palcoscenico di varietà, in sinagoga o in chiesa o anche per strada e persino fischiettate sotto la doccia.
‎I tempi sono maturi, le dighe impastate di silenzi istituzionali e minimizzazioni accademiche del fenomeno si son crepate e il fiume ha tracimato; sino a quando le acque scorreranno abbondanti a valle e le partiture perdute miracolosamente si moltiplicheranno, andiamo avanti.

Francesco Lotoro