USA – La stanchezza degli ebrei usati come una clava politica
Gli ultimi dieci mesi sono stati difficili per gli ebrei americani. Sul Forward, Nora Berman ha scritto: «La guerra ci ha allontanato da parenti e amici, ha diviso le nostre sinagoghe e persino le app per gli appuntamenti sono in subbuglio, con profili in guerra pieni di emoji schierati. Ma la cosa peggiore è il modo in cui la nostra identità ebraica – e le reali minacce antisemite che affrontiamo – è diventata uno strumento politico, sfruttato sia a destra che a sinistra». La scorsa settimana il candidato alla vicepresidenza, il senatore JD Vance, ha insinuato che Kamala Harris sia stata convinta a non scegliere il governatore della Pennsylvania Josh Shapiro come suo compagno di corsa perché è ebreo. Nonostante Shapiro, quella stessa sera, avesse proclamato durante un comizio per Harris di essere orgoglioso del proprio ebraismo, tra gli applausi. Trasformare la questione profondamente personale di come gli ebrei gestiscono i potenziali conflitti tra la propria identità personale e quella pubblica in un referendum sulla vitalità politica degli avversari non è appannaggio solo della destra. I Democratic Socialists of America (DSA) si sono vantati, su X: «La scelta di Walz ha dimostrato al mondo che DSA e i suoi alleati a sinistra sono una forza che non può essere ignorata». E hanno aggiunto che la pressione della sinistra ha fatto sì che Harris rinunciasse a scegliere «un potenziale vicepresidente che ha legami diretti con l’IDF e che ha sostenuto ferocemente il genocidio in corso in Palestina». Per la cronaca: Shapiro ha “solo” completato un progetto di servizio scolastico in Israele come volontario non militare in una base dell’esercito, oltre al lavoro in un kibbutz e in una pescheria. Ed è favorevole al cessate il fuoco e alla soluzione dei due Stati. Ma, scrive Berman, essere una pedina politica è parte dell’esperienza ebraica: usati dai partiti di tutto lo spettro politico per rappresentare i mali o i successi che ritenevano utili al momento questa volta ci si confronta con una realtà diversa, sia per quanto accaduto il 7 ottobre e per la conseguente guerra di Israele contro Hamas, ma anche, e soprattutto, per il ruolo dei social media. Tutto viene trasmesso sui nostri telefoni 24 ore su 24, 7 giorni su 7, spesso senza contesto e con una retorica volutamente aggressiva. Scrive Berman che è inevitabile: ciò che coinvolge gli ebrei è una questione grande e complessa e viene sfruttata (e amplificata) sui social media. Gli ebrei sono stati trasformati in un’idea, che viene usata come una clava.Tutti sono diventati esperti di Medio Oriente e hanno opinioni sempre più polarizzate sugli ebrei: la destra e la sinistra USA si sfidano su chi sia il migliore protettore degli ebrei e chi il più grande perpetratore dell’antisemitismo.
Trump ha detto ripetutamente che gli ebrei che votano per i democratici sono «sleali nei confronti di Israele» e dovrebbero farsi «esaminare la testa». Dopo che Alexandria Ocasio-Cortez – le cui critiche a Israele non l’hanno resa particolarmente popolare tra gli ebrei americani – ha ospitato una conversazione in livestream sull’antisemitismo e l’antisionismo con due esperti ebrei, la DSA ha ritirato il suo appoggio, definendo la sua sponsorizzazione del panel «un profondo tradimento». La repubblicana Elise Stefanik durante l’interrogazione ai presidenti delle università sull’antisemitismo, nel dicembre 2023, è riuscita a trattare gli ebrei contemporaneamente come vittime, menti del movimento anti-DEI (Diversity, Equity, Inclusion) che griderebbero all’antisemitismo per far licenziare una donna nera, e strumento politico spuntato di un politico ambizioso. Ha fatto in modo che la realtà di ciò che gli ebrei realmente provano sparisse: l’antisemitismo è reale ed è in aumento. E gli ebrei sono esausti non solo a causa dell’antisemitismo, ma anche perché spesso le accuse di antisemitismo vengono tirate fuori per motivi che poco hanno a che fare con la loro sicurezza. È un’accusa che si sta svuotando di significato, più viene usata come insulto e più verrà percepita come falsa, e pericolosa. Si chiede Berman: «Come possiamo, come comunità, elaborare il lutto e affrontare questa guerra profondamente dolorosa quando il nostro essere ebrei continua a essere politicizzato per un numero apparentemente infinito di cause? Come possiamo affrontare adeguatamente le questioni politiche che ci stanno a cuore – tra cui non solo Israele e l’antisemitismo, ma anche i diritti riproduttivi e la giustizia climatica, se la nostra identità non è vista come parte della nostra umanità, ma come un argomento politico? A questo punto, ogni volta che vedo qualcuno che parla a nome degli ebrei, o un titolo di giornale su ciò che pensano gli ebrei, vorrei chiudere il mio computer portatile, spegnere il telefono e dormire. Non voglio più preoccuparmene, è questo il risultato più pericoloso di tutti».
(Nell’immagine, la manifestazione contro l’antisemitismo No Hate No Fear organizzata nel 2020 negli Usa)