TU BEAV – L’amore dopo il 7 ottobre

Nel calendario ebraico Tu BeAv (15 del mese di Av, quest’anno tra 18 e 19 agosto) rappresenta la festa dell’amore, dei fidanzamenti, della gioventù. Soprattutto in Israele molte coppie lo celebrano con cene romantiche e scambi di doni. «Ogni anno mi portavi un mazzo di fiori e mi raccontavi una bella storia su cosa rappresenta Tu BeAv, di come in passato le ragazze si vestivano di bianco e uscivano a ballare nelle vigne di Shiloh sotto la luna piena per trovare un marito. E come per questo Tu BeAv simboleggia bellezza e amore», ha ricordato sui propri profili social Noa Argamani. Un messaggio diretto al suo compagno, Avinatan Or, da 318 giorni ostaggio di Hamas. Liberata l’8 giugno in un’operazione israeliana a Gaza assieme ad altri due ostaggi, Argamani da allora è impegnata a chiedere il rilascio del fidanzato e di tutti gli altri rapiti.
Come lei anche Ziv Abud, compagna di Eliya Cohen. Con il tramonto e l’inizio di Tu BeAv, Abud ha organizzato sul lungomare di Tel Aviv una cena per richiamare l’attenzione sul destino di Eliya.
Due piatti e due bicchieri di vino sono stati disposti su una tovaglia bianca ricoperta di petali di rosa, mentre Abud, vestita con un abito da sera rosso, si è seduta di fronte a una foto del suo compagno rapito. Un cartello attaccato al tavolo recitava: «È già Tu BeAv, e il mio fidanzato è ancora prigioniero a Gaza». Decine di persone, riprese in un video, si sono fermate commosse per abbracciare la giovane. «Non sei sola», le ribadiscono in molti.

Tu BeAv nella tradizione

Unità è uno dei significati che la tradizione attribuisce a Tu BeAv, spiega rav Elchanan Samet su ynet. La festa è in netta contraddizione con la solennità, di pochi giorni precedente, di Tisha BeAv (Av). La seconda rappresenta la distruzione, la divisione, il proliferare dell’odio; la prima, sottolinea Samet, è «un giorno di speranza e rinnovamento». La «festa dell’amore», spiegava rav Jonathan Sacks (1948-2020), ex rabbino capo di Gran Bretagna, «ci ricorda come anche dopo la distruzione possiamo ricostruirci, sia fisicamente che emotivamente».
Tu BeAv è citata nella Mishnah: «Per Israele non esistevano giorni più lieti del 15 di Av e del giorno di Kippur, in cui le fanciulle di Gerusalemme uscivano con abiti bianchi presi in prestito per non far arrossire le più povere. Tutti i vestiti andavano sottoposti al bagno di purificazione. Le fanciulle di Gerusalemme uscivano a danzare nelle vigne. E che cosa dicevano? ‘Giovane, alza i tuoi occhi e guarda bene quello che scegli. Non posare gli occhi sulla bellezza, ma bada alla famiglia. Cosa falsa è la grazia; vanità è la bellezza. Solo la donna temente di Dio è degna di lode’ (Prov. 31,20 – Ta’anit IV, 7)».
Secondo il Talmud, il 15 di Av fu concesso alle tribù d’Israele di sposarsi tra loro, abbattendo le barriere che prima le tenevano separate. Inoltre coincideva con la fine del taglio annuale della legna per l’altare del Tempio, un compito condiviso dal popolo ebraico, a sua volta simbolo di unità e responsabilità. Come ricorda il messaggio di Argamani poi, nell’antichità le donne non sposate indossavano abiti bianchi e danzavano nei vigneti, con l’auspicio di attirare un pretendente. Sempre nel Talmud, aggiunge rav Samet, si sottolinea come «le figlie di Israele che uscivano a danzare nelle vigne davano in prestito l’una dall’altra i propri vestiti. L’abito, che esprime unicità e rispetto di sé diventa così un simbolo di uguaglianza».

d.r.