CULTURA – Ephraim Kishon, un secolo di ironia

«Mi limito a scrivere la nuda verità. Ed è molto, molto divertente». Così Ephraim Kishon nel 1981 riassunse in una battuta il lavoro di una vita. Era a Parigi per ritirare il premio Noble, ideato dall’Associazione internazionale per la promozione dell’umorismo. Scrittore, regista, sceneggiatore, Kishon è uno dei padri della satira e dell’umorismo israeliano. Nel centenario della sua nascita, 23 agosto 1924, la sua figura è celebrata e ricordata sui media nazionali.
Nato a Budapest come Ferenc Hoffmann, era cresciuto in una famiglia della borghesia ebraica ungherese. A 16 anni vinse un premio di scrittura, ma le sua ambizioni letterarie si scontrarono con le leggi antiebraiche e l’occupazione nazista dell’Ungheria. Raccontò di essere sopravvissuto per miracolo alla Shoah. In un lager nazista fu risparmiato perché al comandante serviva un buon giocatore di scacchi da sfidare. In un altro sfiorò la morte quando gli ufficiali misero in fila i prigionieri, sparando a un detenuto su dieci. Verso la fine della guerra, fu deportato verso il campo di sterminio di Sobibor, in Polonia. Riuscì a fuggire nel corso del viaggio e si finse fino alla fine del conflitto un operaio slovacco. Riferendosi ai nazisti, nel suo romanzo Il capro espiatorio scrisse: «Hanno commesso un errore: hanno lasciato in vita un autore satirico».
Finita la guerra, rimase per poco a Budapest. Nel 1949, sfuggendo al regime comunista, scelse di fare l’aliyah (emigrare in Israele) assieme alla prima moglie, Chava Klamer. In Israele il suo primo nome Ferenc fu ebraicizzato in Ephraim. Il cognome invece aveva scelto di cambiarlo già in Ungheria: da Hoffman a Kishont, poi diventato in Israele Kishon.
Seguendo il sogno di diventare scrittore, in due anni imparò abbastanza bene l’ebraico da curare regolarmente una rubrica umoristica su HaOmer, un giornale per i nuovi immigrati. Dopo la laurea in ebraico, diventò una delle firme del popolare quotidiano liberale Davar. Iniziò a pubblicare libri, affermandosi rapidamente come uno dei più noti scrittori israeliani, per poi spaziare in altri ambiti. Fondò una compagnia teatrale, dando vita a diverse opere originali per il teatro; scrisse e diresse film, alcuni dei quali considerati dei classici della filmografia israeliana. Tra questi «Sallah Shabati», la storia di un povero immigrato ebreo proveniente dal Nord Africa che lotta contro i pregiudizi e la burocrazia nel tentativo di assimilarsi nel giovane paese dominato dagli ebrei di origine europea. Il film fu candidato all’Oscar nel 1965 e il titolo è un gioco di parole in ebraico: “Slicha shebati, scusate se son venuto”.
Altro film celebre è «Ha-Shoter Azulai»: storia di un poliziotto frustrato sull’orlo della pensione, candidato all’Oscar nel 1972.
La fama internazionale arrivò però grazie a un libro: «Guardi indietro signora Lot: Sorrisi e lamenti dalla Terra Santa» (1958), testo in cui Kishon esaminava l’esistenza di Israele in un Medio Oriente ostile. Il libro fu pubblicato in inglese nel 1959 e celebrato dal New York Times.
Oltre che in Israele, i suoi libri hanno ricevuto grande apprezzamento di pubblico e critica in Germania, grazie al traduttore Friedrich Torberg. A chi gli chiedeva cosa ne pensasse, Kishon rispondeva: «È una bella sensazione che i figli dei miei carnefici siano miei ammiratori».
Non sentendosi pienamente accettato in patria, Kishon negli anni Ottanta decise di trasferirsi in Svizzera, pur continuando a trascorrere molto tempo nello stato ebraico. Nel 2002 gli fu conferito il Premio Israele, l’onorificenza più prestigiosa del paese, per i risultati ottenuti nella vita. «Kishon è una luce salvata dal fuoco della Shoah, che ha scalato le vette della satira nel mondo», scrisse la giuria, motivando il riconoscimento.
Morì nel 2005 in Svizzera.