ISRAELE – Ostaggi e minacce interne, politica divisa
Dai negoziati in corso al Cairo arrivano notizie contrastanti. Il sito ynet, dopo aver parlato con fonti della delegazione israeliane, parla di «clima positivo». Ma le parti rimangono lontane. Sul Corridoio Philadelphia, la lingua di terra tra Egitto e Gaza, non si trova un accordo. Secondo l’emittente Kan «egiziani e qatarini non sono ottimisti». Cairo e Doha vorrebbero dal premier Benjamin Netanyahu «maggiore flessibilità». Stati Uniti e Israele sottolineano come sia Hamas a dover accettare le condizioni dell’intesa.
Nel mezzo ci sono le famiglie dei 109 ostaggi israeliani ancora a Gaza. Da quasi 11 mesi aspettano di riabbracciare i propri cari. Sanno che almeno trenta rapiti non sono più in vita, sperano che il numero non aumenti. E si chiedono, come fanno i genitori dell’ostaggio Omer Neutra, come mai il loro destino sia diventato un tema divisivo in Israele. Reduci dall’intervento alla Convention dei Repubblicani, i Neutra, intervistati da Haaretz, sottolineano come negli Usa «ci sia sostegno bipartisan alla nostra causa, mentre in Israele non sentiamo le stesse voci». In patria, affermano i genitori di Omer, «alcuni partiti dicono che gli ostaggi non sono la priorità. Che Hamas è la priorità, che vincere è la priorità, e che le vite delle persone rapite non vengono prima». Per i Neutra non si può più aspettare. «Cosa pensano le persone in Israele? Che possiamo ottenere un accordo migliore? Sappiamo tutti che il nemico del bene è il meglio. Potranno ottenere tra due anni un accordo perfetto con zero ostaggi indietro… Ma sarà perfetto», afferma Ronen, il padre di Omer.
Sei ex ostaggi con parenti ancora prigionieri a Gaza hanno incontrato Netanyahu. «Ne sono uscita con la brutta sensazione che l’accordo non avverrà presto», ha dichiarato Ella Ben Ami, il cui padre Ohad è tra gli ostaggi.
Il capo dello Shin Bet contro la minaccia interna
Tra chi è impegnato in prima persona nei negoziati c’è il capo dello Shin Bet, Ronen Bar. Alcune sue recenti dichiarazioni sulla violenza di estremisti israeliani contro i palestinesi hanno creato tensioni nel governo. In una lettera a Netanyahu, Bar ha denunciato il rischio di un «terrorismo ebraico» che vuole «destabilizzare il sistema, causando danni indescrivibili a Israele». «Il fenomeno della ‘gioventù delle colline’ è diventato da tempo un focolaio di violenza contro i palestinesi», ha proseguito Bar, riferendosi a un gruppo di estremisti residenti in Cisgiordania che si scontrano regolarmente con i palestinesi. Riguardo questi attacchi, il capo dello Shin Bet sottolinea di non aver «mai accettato il termine ‘crimine nazionalista’» con cui questi atti vengono spesso descritti. «Non è un crimine perché è l’uso della violenza per creare intimidazione, per diffondere la paura, che è terrorismo. E è una sfida per la sicurezza nazionale». Secondo il numero uno dell’intelligence, il fenomeno da marginale è diventato sempre più aperto, godendo anche di protezione politica. «Da un’attività segreta mirata a un’attività ampia e aperta. Dall’uso di un accendino all’uso di armi da guerra. Dall’eludere le forze di sicurezza all’attaccarle forze. Dall’essere fuori dall’establishment al ricevere legittimità da alcuni suoi funzionari». Nella lettera Bar sostiene che la polizia, sotto il controllo del ministro della Pubblica sicurezza Itamar Ben Gvir, non è messa nelle condizioni di agire per contrastare il fenomeno. E ha anche condannato la recente visita dello stesso Ben Gvir al Monte del Tempio. Per tutta risposta il ministro ha chiesto a Netanyahu di licenziare Bar, difeso invece dal ministro della Difesa Yoav Gallant.