SCAFFALE – I libri di Tito Brandsma: la Chiesa è anche questo

Non c’è dubbio che, in questi tempi, il rapporto tra ebraismo e Chiesa cattolica sta attraversando uno dei momenti peggiori degli ultimi 60 anni. Si sperava che il Concilio Vaticano II avesse segnato l’avvio di una svolta netta, di un definitivo superamento di secolari sentimenti di pregiudizio, diffidenza, ostilità, profondamente radicati nel mondo ecclesiastico, nei confronti della religione e soprattutto del popolo mosaico. Posizioni – a volte esplicite e manifeste, altre volte nascoste, incistate – certamente molto dure da combattere, considerate la loro grande profondità e diffusione, e il fatto che esse trovano fondamento in molte tristi pagine di alcuni tra i più importanti Padri della Chiesa (quali Tertulliano, Agostino, Ambrogio, Giovanni Crisostomo e molti altri). Non ci si poteva illudere, pertanto, che esse potessero essere definitivamente e completamente sradicate, nel giro di pochi anni, ma c’era comunque una diffusa fiducia che il cammino intrapreso sarebbe proseguito, e non si sarebbe tornati indietro.
Oggi, purtroppo, questa fiducia è venuta meno. Prendiamo atto che il processo di riconciliazione sta subendo un forte rallentamento, e non sappiamo cosa avverrà domani. Si tratta solo di incidenti di percorso, che saranno superati, e si tornerà allo spirito conciliare della Nostra Aetate? O si è invece intrapresa una nuova strada, che potrebbe portare a tempi ancora più bui, simili a quelli di Paolo IV Carafa o di Pio IX, del ghetto e del rapimento dei bambini ebrei? La Chiesa tornerà di nuovo, come è già stato esplicitamente detto da un autorevolissimo Cardinale, prima conosciuto come raffinato e sensibile esegeta delle Sacre Scritture, alla visione del monaco Marcione, bollata come eretica, dei “due Dii”, quello cattivo e vendicativo del Vecchio Testamento e quello buono e misericordioso del Nuovo? Non sarebbe una cosa assurda, lo stesso papa Francesco ha denunciato, anni fa, la presenza, nel mondo ecclesiastico, di un «marcionismo latente». Che sembra, purtroppo, affiorare con sempre maggiore evidenza.
Non ci è dato sapere cosa accadrà, ce lo diranno gli anni avvenire. Per ora, possiamo solo sperare. E ci aiuta a sperare, certamente, la pubblicazione di un libro che rappresenta davvero una testimonianza preziosa di come all’interno della Chiesa abbiano operato, già molto prima del Concilio, degli uomini di alto valore morale, la cui parola e il cui esempio devono essere conosciuti, divulgati e onorati. E ciò non solo per evitare giudizi sbrigativi e superficiali sulla complessa e articolata realtà della Chiesa (che non coincide certo col solo magistero del Pontefice di turno), ma anche e soprattutto per indurre la Chiesa stessa a valorizzare quello che ci appare il suo migliore retaggio culturale e spirituale.
Ci riferiamo a un libro spagnolo, di cui ci auguriamo di potere presto vedere la traduzione in italiano: Escritos ante el nacionalsocialismo, di Tito Brandsma, a cura di Fernando Millàn Romeral, con prologo di Henar Corbì Margui, presentazione di Millàn Romeral e un saggio introduttivo dello stesso Millàn Romeral – già èdito nel 2007 -, dal titolo Tito Brandsma y el nazismo: notas sobre un enfrantamiento (Ediciones Carmelitanas, Madrid 2023).
Si tratta di una raccolta postuma di scritti di una figura tra le più significative dell’Ordine dei Carmelitani, alla quale appartiene anche Millàn Romeral, che dell’Ordine è stato a lungo Presidente mondiale, uomo di non comune cultura, umanità, spiritualità, che ha dato e dà davvero tanto al dialogo interreligioso e alla promozione dei valori di pace, fratellanza e convivenza civile e al contrasto a ogni forma di odio e pregiudizio.
Brandsma è stato un teologo, scrittore e giornalista olandese, ucciso a Dachau nel 1942 per la sua opposizione al nazismo, beatificato a Roma il 3 novembre del 1985. Nel processo di beatificazione – come ricorda Millàn Romeral nel suo “estudio introductorio” – ebbe un ruolo determinante la testimonianza dell’infermiera che gli iniettò la siringa di acido fenico che gli diede la morte, e che, per paura di rappresaglie, sottoscrisse la sua dichiarazione testimoniale sotto nome falso (Tizia). Nella sua omelia, il papa ricordò la cultura dell’amore, del dialogo e del rispetto della dignità dell’uomo promossa da Brandsma, e il suo impegno contro l’opposta cultura di odio e di morte del nazismo.
Quello che è rimarchevole dell’impegno del carmelitano è che la sua denuncia della barbarie nazista fu immediata, subito dopo la presa di potere di Hitler, quando quasi tutto il mondo guardava con sostanziale indifferenza a quanto stava accadendo in Germania, che era ancora considerata un Paese vinto e debole, che difficilmente avrebbe potuto impensierire le potenze vincitrici della Prima Guerra Mondiale. La Chiesa, poi, era ossessionata dal pericolo comunista, e tutto ciò che sembrava, in qualsiasi modo, opporsi al bolscevismo era visto, senza tanti distinguo, con un certo favore.
Eppure, già nel 1935, appena due anni dopo la presa di potere di Hitler, Brandsma asseriva pubblicamente che «lo que hoy se hace contra los judios es un acto de codardia». Una parola, “codardia”, che esprime in un modo perfetto l’essenza dell’antisemitismo. La viltà di chi si schiera a fianco degli oppressori contro le vittime, di chi si inchina davanti a chi detiene il potere, qualsiasi nefandezza faccia. Brandsma ebbe il coraggio di dire no, ad alta voce, e ciò fa di lui – come scrive, nel prologo, Corbì Margui, «un sacerdote honesto, un carmelita compansivo, un prisionero vitalista, un santo moderno” e, soprattutto, «un hombre coherente».
Dall’insieme degli scritti di Brandsma riportati nel volume si ricava non solo la denuncia del male infinito del nazismo, e il dovere di difendere le sue principali vittime, ossia gli ebrei, ma anche la piena presa di coscienza di quanto il cristianesimo (il “vero” cristianesimo) può trovare il suo autentico messaggio solo attingendo alla sorgente sapienziale e soteriologica della sua “santa radice”. Significativo, in particolare, su questo piano, il testo profetico Hacia la Tierra prometida, che raccoglie le parole di un discorso radiofonico pronunciato il 10 gennaio 1939, pochi mesi prima del precipizio dell’abisso, il cui senso è illustrato in modo illuminante dalla presentazione di Millàn Romeral.
La “Tierra prometida” non riguarda solo il popolo ebraico, ma tutta l’umanità. Cosa sarà questa “tierra”? Quali possono essere le strade per raggiungerla? Si può sperare in essa all’ingresso dell’inferno? È una domanda che vale non solo nel 1939, ma anche oggi, nel 2024.
Brandsma, scrive Millàn Romeral nella sua presentazione alla raccolta, «intuye… con mirada profética, còmo esto neopaganesino que idolatra la raza, la naciòn y la fuerza se opone frontalmente a los valores cristianos y lleva al desprecio de la dignidad esencial de todo ser humano, criatura de Dios».
Ci sarebbe da chiedersi quanto sia forte e determinante l’influenza della voce di Brandsma e di Millàn Romeral nella Chiesa di oggi. Molto, poco? Oggi, certo, prevale il pessimismo. Ma, come recita il titolo di un fortunato film, C’è ancora domani. E non resta che augurarsi che questa parola guadagni sempre più terreno. Conviene a tutti, al mondo e alla Chiesa.

Scaffale è a cura di Francesco Lucrezi, docente di Diritti antichi all’Università di Salerno

(Nell’immagine l’incontro tra il rabbino capo di Roma Elio Toaff e il papa Karol Wojtyla)