ARTE – Quando il pregiudizio si fa arte (e propaganda)

Di recente mi è capitata fra le mani una vecchia copia della prima pagina della Domenica del Sole 24 ore di molti anni fa: 22 agosto 1995. Annunciava la prossima uscita del libro di Cesare Mannucci, L’odio antico. L’antisemitismo cristiano e le sue radici, riportandone un sostanzioso brano con questo titolo: «Il giallo finì in stella gialla». La stella gialla di infame memoria la conosciamo tutti. Fu un principe musulmano a imporre per primo un segno distintivo ad Ebrei e Cristiani che vivevano nei suoi territori. Dimenticando di essere stata discriminata insieme agli Ebrei, la Chiesa cattolica stabilì con il Concilio Lateranense del 1215 – papa Innocenzo III regnante – che «… gli ebrei dei due sessi si distinguano dagli altri per i loro abiti…».
Regola immediatamente applicata, con segni distintivi diversi, in molti paesi europei. In Francia fu imposto agli Ebrei di portare sugli abiti un pezzo di stoffa rotonda di colore giallo. Il giallo del titolo è illustrato da un particolare del quadro di Paolo Uccello (13971475) conosciuto come Il miracolo dell’ostia profanata. Tra le accuse di omicidio rituale che per secoli colpirono gli Ebrei nel mondo cristiano, quella della profanazione dell’ostia consacrata ne è una versione particolare. Assolutamente incomprensibile per gli Ebrei, ma molto utile ai fini del catechismo cattolico. È bene ricordare che, secondo la dottrina cattolica, le ostie consacrate dal sacerdote e offerte ai fedeli durante la comunione sono vero corpo di Gesù. Profanare un’ostia equivale quindi a martirizzarlo ancora. Ma quanti Ebrei lo sanno oggi e quanti l’avranno saputo nel medioevo? Proclamare quindi il “miracolo” dell’ostia profana
ta serve a riportare i cattolici “tiepidi” a una fede più intensa e accettare l’autorità della Chiesa. Seguiamo ora le sei scene dipinte da Paolo Uccello tra il 1467 e il 1468 in una predella esposta oggi a Urbino nella Galleria nazionale delle Marche. Nel primo riquadro vediamo una donna davanti a un bancone con un’ostia ben visibile fra le dita. Evidentemente la sta offrendo in vendita all’uomo dietro il banco. L’uomo, un usuraio ebreo, così definito per alcuni stemmi visibili sul muro, la compra (per 30 denari?). Nel secondo riquadro il “colpo di scena”: l’ebreo pensa bene di mettere l’ostia in una padella e di friggerla! Si scatena la miracolosa maledizione dell’ostia fritta, che tante vittime innocenti fece tra gli Ebrei in tutto il medioevo: il sangue prodotto dall’ostia fritta riempie la stanza ed esce da sotto la porta. Alcune volte inonda la città. Non può
passare inosservato: arrivano le guardie e catturano tutta la famiglia che – lo apprendiamo da un riquadro successivo – verrà bruciata sul rogo. La donna, causa di tutta questa tragedia, viene impiccata, ma un angelo è sopra di lei. Forse perché ha fatto scoprire gli Ebrei sacrileghi: la sua anima è contesa tra angeli e diavoli. Finalmente l’ostia verrà riconsacrata e riportata al suo posto con una cerimonia pubblica e grande partecipazione di fedeli. Questa è storia e Paolo Uccello l’ha raccontata in un capolavoro dell’arte italiana degli ultimi anni del medioevo. Non dobbiamo peraltro credere che questi miracoli non accadano ancora oggi: non invocheremo certo la cancel culture né il politically correct, ci auguriamo solo un’informazione corretta. Intanto, una rapida ricerca in rete vi sorprenderà.

Leone Chaim

(Nelle immagini, Paolo Uccello, Urbino 1467-1468, dalla chiesa di Santa Maria di Pian di Mercato della confraternita del Corpus Domini di Urbino – Tecnica: Tempera su tavola)