ISRAELE – Il 7 ottobre non ha fermato l’aliyah

Secondo i dati raccolti dal Global Aliyah Centre dell’Agenzia Ebraica in collaborazione con il Ministero israeliano per l’Aliyah «Israele sta attraversando una delle sue crisi più grandi e in tanti vogliono partecipare alla ricostruzione di un Paese che considerano casa». C’è stato un aumento notevole nel numero di pratiche di immigrazione: si arriva al +355% dalla Francia, +87% dal Canada, +63% dal Regno Unito e +62% dagli Stati Uniti. Shay Felber, direttore dell’Unità per l’Aliyah e l’Integrazione dell’Agenzia Ebraica ha ricordato che c’è stato un esodo simile dopo la guerra dello Yom Kippur, nel 1973. Felber attribuisce i dati dello scorso anno anche all’aumento dell’antisemitismo: in molti valutano che è tempo di andarsene e Israele è visto come il futuro. Per Felber si tratta di una tendenza che dovrebbe continuare nel 2025: «Non stiamo parlando solo di potenziali olim», ovvero delle pratiche descritte sopra, «sono dati che si sono già tradotti in nuovi arrivi, c’è già un aumento del 50% dell’aliyah dalla Francia e del 25% dal Nord America». Come ha scritto Amelie Botbole sul Jewish Chronicle il 2 settembre Dov Lipman, ex membro della Knesset e fondatore e amministratore delegato di Yad L’Olim, ha dichiarato che dal 7 ottobre la sua organizzazione ha aiutato un numero crescente di immigrati ebrei a stabilirsi in Israele: «Per alcuni è il desiderio di stare con il proprio popolo nel momento del bisogno. Per altri è l’aumento dell’antisemitismo e riconoscere che Israele è la patria del popolo ebraico». Per esempio Warren e Leah Phillips hanno iniziato da poche settimane la loro nuova vita, si sono trasferiti da Manchester in Israele a metà agosto con le figlie, di 18 e 14 anni: hanno iniziato a informarsi nel dicembre 2023 perché volevano un futuro migliore ed essere più vicini a Israele e alla sua popolazione, soprattutto dopo il 7 ottobre. «Avevamo più paura di rimanere in Inghilterra che di venire in Israele, e tutti sono stati incredibilmente accoglienti: ci guardano con ammirazione e rispetto perché abbiamo deciso di venire qui mentre la guerra è in corso». Secondo i nuovi dati dell’Agenzia Ebraica, circa 30 mila persone hanno espresso il desiderio di immigrare in Israele negli ultimi dieci mesi, e tra di loro c’è anche chi ha agito d’impulso, come Eric Rubin e sua moglie Sue, che si sono trasferiti dal Maryland meno di una settimana dopo l’attacco di Hamas: «Ho guardato mia moglie e le ho detto che non era più possibile restare. Lei mi ha risposto che se fossi riuscito a trovare i biglietti aerei sarebbe partita subito… avevamo programmato da tempo di trasferirci, ma abbiamo anticipato la data della partenza dopo il massacro. Sia per essere presente, per la mia gente, che per dimostrare ai terroristi che nulla ci avrebbe impedito di venire! Sono orgoglioso di essere qui, è qualcosa che ci ha reso più forti: in America quando qualcosa va storto si resta a casa, qui abbiamo preso a svegliarci ogni mattina con l’idea di vivere la nostra vita al meglio, non sappiamo cosa ci riserverà il domani». Dal New Jersey invece sono arrivati a luglio Jonathan Deluty con la moglie e due figlie piccole: «Avevo prestato servizio nella Brigata Paracadutisti dell’IDF nel 2014 e durante il servizio militare avevo fatto un voto: se tutti i membri del mio plotone fossero tornati a casa interi avrei fatto l’aliyah entro dieci anni – ha raccontato lui al JC – Il 7 ottobre mi è stato chiaro che era arrivato il momento di partire». Lavorava a New York e, ha spiegato, si è sentito come l’11 settembre, e i suoi amici hanno iniziato a partire per la guerra. Ha aggiunto che ritiene importante crescere le sue figlie in un Paese in cui possono avere un ruolo nel futuro del popolo ebraico: «Non mi sono sentito in fuga dall’America ma mi sono chiesto se si sarebbero sentite così le mie figlie, magari tra quarant’anni».