USA – Gli studenti ebrei e il rientro al college

Gli studenti dei campus americani si sono mobilitati in massa contro la guerra in Medio Oriente, e le proteste hanno portato a grandi tensioni, oltre all’arresto di più di tremila giovani. Diversi studenti ebrei hanno subito attacchi antisemiti mentre altri si sono uniti alle proteste e agli accampamenti pro-palestinesi, mentre alcuni college annullavano per sicurezza le cerimonie di consegna dei diplomi. Megan Naftali e Rina Shamilov hanno raccolto le impressioni di alcuni studenti ebrei sul prossimo ritorno nei campus su Momentmag.com. Eitan Zomberg, studente della Columbia University, dichiara di non temere troppo l’antisemitismo, che definisce «ovviamente presente ma drammaticamente esagerato». Si preoccupa invece che l’amministrazione si accanisca sui manifestanti pro-Palestina sopprimendo la protesta e negando la libertà di parola, con un conseguente impatto negativo sulla vita degli studenti ebrei. E aggiunge: «La commissione sull’antisemitismo della Columbia, istituita alla fine dello scorso anno include l’antisionismo nella sua definizione di antisemitismo. A mio avviso questo porterà molti ad associare l’ebraismo all’attuale condotta delle forze armate del governo israeliano e alle loro operazioni a Gaza, con un conseguente aumento dell’antisemitismo». Brooke Bass, che studia informatica alla Brandeis, spiega che «ci sono persone con cui sono arrabbiata e persone con cui non voglio più parlare, da cui ho preso le distanze. L’università però ha tenuto sotto controllo le attività anti-Israele e antisemite nel campus e ha fatto molto per garantire che gli studenti ebrei fossero a loro agio». Meno ottimista è Shira Schon, studentessa di neuroscienze all’Università del Michigan, e parte della comunità ebraica ortodossa del campus: «Vorrei sentirmi al sicuro e benvenuta anche negli spazi pro-palestinesi. Ad alcune persone non importa se c’è antisemitismo, non pensano alla sicurezza degli ebrei nel campus. (…) Se si vuole lottare per la liberazione collettiva, questa non può includere né ignorare l’antisemitismo e non può includere un futuro in cui gli ebrei non abbiano il diritto di vivere in sicurezza nella loro patria. Ci sono più attivisti pro-Palestina, o forse sono solo i più rumorosi, ma io ho le stesse difficoltà con i pro-Israele. È importante lottare affinché gli ebrei vivano in sicurezza in Israele, ma non può essere l’unica cosa che conta. La pace raggiunta distruggendo il proprio “avversario” non è vera pace». Uno studente di giornalismo dell’Emerson College ha scelto l’anonimato e dice di non essersi sentito al sicuro, cosa che ha influito sul suo rendimento accademico. Però «Siamo ebrei, siamo forti e ce la faremo», dice Aidan Cullers, che racconta come nel suo campus, alla George Washington, ci sia una comunità ebraica forte che è riuscita a farsi forza dopo il 7 ottobre. «Le proteste sono state sconvolgenti per me: le persone che partecipavano erano poco informate, e non erano disposte ad ascoltare altri punti di vista. (…) Siamo a Washington, DC; l’ambasciata israeliana è in città. Perché accamparsi e portare il caos nel campus quando si poteva andare a protestare all’ambasciata israeliana? Perché prendere di mira gli studenti ebrei per opporsi alla politica del governo israeliano?». È importante si sappia che gli studenti ebrei del campus sono forti: «Vogliamo e abbiamo bisogno di sostegno, ma continuiamo a vivere la nostra vita».
«Tutti hanno il diritto di protestare, è giusto, ma l’atmosfera del campus era pesante» per Emma Schwarz, studentessa della Vanderbilt: «Era più un sentimento antisionista, e come tale mi sono sentita sicuramente presa di mira, ma in modo più sfumato rispetto a quanto ho visto altrove». Per Zane Borenstein l’Università della Florida sembra essere in gran parte a favore di Israele. Alcuni suoi amici, invece, hanno paura di tornare nei rispettivi campus, in particolare all’Università della Pennsylvania a alla Columbia. Al Queens College lo scorso anno un rabbino e un imam hanno invitato gli studenti di entrambe le parti a confrontarsi, ma – racconta Jordan Katz – è diventata una gara a chi urlava più forte le proprie opinioni: «Essere un sostenitore di Israele rende molto difficile tornare all’università».