ROMA – Il pamphlet di P.G. Battista che dà speranza
«Sono nato del 1955 e spesso mi sono chiesto come mai, nel mondo della cultura e tra le persone qualunque, verso la fine degli anni Trenta nessuno si accorse, o volle non accorgersi, non che il mondo in generale, ma il mondo ebraico in particolare stesse precipitando lungo una china catastrofica, culminata nella Shoah. Era difficile da decifrare? C’era indifferenza, quieto vivere, incredulità di fronte a quella lenta discriminazione, che poi sarebbe diventata persecuzione e infine Apocalisse? Mancavano gli strumenti concettuali per capire dove si stesse andando? Per paura, ottusità, meschinità. Ecco, oggi credo di aver capito come mai». Una consapevolezza, quella del giornalista Pierluigi Battista, maturata con l’ondata di antisemitismo seguita al 7 ottobre. Per mesi, scrivendo i suoi pezzi per il Foglio e l’Huffington Post, Battista ha annotato gli episodi di odio contro gli ebrei avvenuti nel mondo, in particolare in Occidente. L’elenco si è dimostrato lungo, troppo lungo, denuncia il giornalista nel suo ultimo pamphlet La nuova caccia all’ebreo (Liberilibri). L’autore presenterà il libro questa sera al Museo ebraico di Roma (ore 20.00), assieme al rabbino capo della città Riccardo Di Segni e al giornalista Paolo Mieli. L’incontro sarà aperto dai saluti del presidente della Comunità ebraica di Roma Victor Fadlun.
Pensavamo di aver costruito le barriere necessarie per arginare il pregiudizio e la violenza antisemita. Pensavamo di aver imparato la lezione tragica della Shoah, sottolinea Battista. «‘Mai più’ s’era detto. Mai più deve essere consentito, dopo la Shoah, additare le persone per l’appartenenza culturale, religiosa, etnica. Invece, per fare un esempio, durante un corteo propalestinese, hanno urlato ‘fuori i sionisti da Roma’, proprio di fronte al ghetto dove i nazisti rastrellarono gli ebrei romani». Per il giornalista non solo «è caduto un tabù, l’indicibile è tornato a essere pronunciato senza vergogna», ma soprattutto attorno al mondo ebraico e a Israele si è creato un vuoto silenzioso. In particolare nei luoghi della cultura e nella sinistra progressista. Con la guerra a Gaza, si è tornati a colpevolizzare Israele e tutti gli ebrei, cancellando le responsabilità di Hamas. «Se gli ebrei non fanno gli ebrei e non accettano la loro condizione ontologica di vittime, allora il giudizio su di loro scolora, sbiadisce fino a smarrirsi del tutto e trasformarsi in aperta ostilità. Non piace l’ebreo che si difende, non ci fa più piangere. Ci fa solo indignare».
Dall’Italia alla Svezia, dagli Stati Uniti al Daghestan (dove a fine ottobre 2023 la caccia all’ebreo si è realmente concretizzata in un tentato pogrom), Battista ricorda l’internazionalità dell’antisemitismo. Punta il dito sull’ignoranza di chi, come i manifestanti pro palestinesi, immaginano un Hamas inesistente: non un movimento terrorista e assassino, pronto a sacrificare il suo stesso popolo, ma un feticcio di resistenza. Ammette di aver condiviso da ragazzo questo pregiudizio, quando il terrorismo palestinese aveva il volto di Settembre nero. «Ero molto scemo, e mi fa male riconoscere in ciò che ero io oramai millanta anni fa la stessa ossessione idiota sui volti di chi oggi continua a non capire che la battaglia di Israele è per la sua sopravvivenza. E se qualcuno, allora, mi avesse dato dell’antisemita, mi sarei mortalmente offeso. Non sapevo ancora, tuttavia, che gli stereotipi lavorano nel profondo e che quell’accusa non sarebbe stata del tutto ingiustificata».
Documentandosi, Battista ha però cambiato la sua visione del mondo, ha riconosciuto i suoi errori e oggi si trova dall’altra parte del fiume. Il pregiudizio su Israele e gli ebrei non è dunque irrimediabile. Unica speranza in un pamphlet altrimenti molto amaro.