SCAFFALE – Kafkalto o della umana condanna
«Alto è solo Kafka», scriveva Gustav Janouch, per aver superato «ogni condizione di misura» e «per quel mondo immane che aveva in testa». Da questa icastica definizione Prisco De Vivo ricava il titolo (Kafkalto. Del quaderno e delle metamorfosi, Gutenberg Edizioni, 2024, 84 pagine, 15.00 €) di un perturbante libro di poesia e disegni dedicati all’immenso scrittore boemo nel centenario della morte, con prefazione di Rosaria Ragni Licinio e postfazione di Paolino Cantalupo.
Tanto le poesie (dello stesso De Vivo e di Raffaele Piazza) quanto i disegni dell’artista ci introducono in un inquietante percorso emotivo sulle tracce di colui che ha segnato in modo irreversibile la vita di ciascuno di noi, al pari di pochi altri autori della storia dell’umanità. Se non si può capire cosa sia il mito senza Omero, la psiche senza Eschilo, la grazia senza Dante, l’amore e l’odio senza Shakespeare, solo chi abbia interiorizzato le pagine di Kafka potrà capire cosa voglia dire la parola “condanna”. Tanto più scura, inesorabile, angosciante in quanto la sua motivazione è scritta in un libro sconosciuto. Sappiamo perché Ettore è sconfitto, perché Edipo si acceca, Beatrice si muove, Desdemona è uccisa. Non sapremo mai perché il Signor K. è condannato, o Gregor Samsa viene trasformato in un insetto. Perciò la loro condanna è anche la nostra, e anche noi, come loro, non abbiamo alcuna difesa contro di essa.
Interprete dello smarrimento di tutta l’umanità, di ogni tempo e ogni luogo, le parole del praghese assumono, ovviamente, un senso particolare per il popolo a cui apparteneva, e di cui intuì, con straordinaria forza profetica, l’imminente catastrofe, che inghiottì, tra gli altri, tutta la sua famiglia superstite. Un tema, questo, che è sempre stato sulle corde del poeta-pittore De Vivo, che ad esso ha dedicato diversi lavori artistici (ricordiamo, in particolare, il libro Ad Auschwitz, del 2009, per le edizioni d’arte Il Laboratorio, con prefazione di Enzo Rega e postfazione di Antonella Cilento).
Nei suoi disegni De Vivo rappresenta un Kafka sfuggente, opaco, il cui sguardo sembra attraversarci, forse ignorandoci, forse celandoci dei segreti, o rivolgendoci mute domande. E l’autore sembra inseguirlo, cercarlo, nella speranza di poterlo, un giorno, incontrare, come scrive nella poesia Cerco di incontrarti:
Di nascosto dietro i portoni bui cerco di incontrarti tremulo e cadente bombetta scura e scarpe di vernice seguo il tuo passo su strade sconquassate dove gli alberi muoiono nella pietra e le loro radici ramificano nell’ignoto.
Ma non è facile incontrarlo, né riconoscerlo, come l’artista ammette in altri suoi versi:
È un uovo, un calice, una materia informe.
Fragili alberi crescono nell’infinito
rami
sbocciano
da lunghi bastoni sulla faccia del gracile boemo
incido una – O –
il suo volto e il suo corpo sono irriconoscibili.
Come scrive, nella prefazione al volume, Rosaria Ragni Licinio, Kafkalto – «è un’opera, non un semplice libro e per questo non può essere racchiuso in una categoria di genere… L’uomo con la bombetta, impresso sui fogli di un quaderno a quadretti, si staglia tra vuoto e oscurità, ha il volto appena accennato, è un essere ambiguo che ricorda la precarietà della condizione umana.
Kafka è la personificazione dello sdoppiamento tra sogno e realtà, tra inettitudine e contestazione; è uno scrittore che si confonde con i protagonisti delle sue opere, attuando così un processo psicoanalitico in cui sonda i temi della perdita, dell’alienazione e della frustrazione».
In un testo pubblicato proprio su queste colonne, qualche anno fa, commentai il bellissimo romanzo di Nicole Krauss, Foresta oscura, dedicato proprio al «gracile boemo» (che pure non compare mai nella narrazione). La protagonista racconta di essersi fermata in raccoglimento, a Praga, innanzi alla tomba di Kafka. Al momento di andarsene, scopre però che quel sepolcro faceva parte di una sceneggiatura cinematografica, e che la vera tomba di Kafka era in un altro luogo. Il personaggio resta turbato da questo equivoco. «Nessuno conosce nessuno – commentai – e, quando preghiamo sulla tomba di qualcuno, preghiamo sempre sulla tomba sbagliata».
Se questo è vero, credo che sia proprio merito di Kafka avercelo fatto capire.
Prisco De Vivo ci aiuta a riflettere su questo eterno, doloroso doppio interrogativo: chi siamo? Perché siamo stati condannati?
Scaffale è a cura di Francesco Lucrezi, docente di Diritti antichi all’Università di Salerno