ISRAELE – Gli auguri di Vito Anav agli italkim

Nella preghiera di Rosh HaShanah, il capodanno ebraico, si legge: «Finisca l’anno con le sue maledizioni. Cominci l’anno con le sue benedizioni». Una preghiera che presto risuonerà in Israele e nelle comunità ebraiche della Diaspora con la conclusione del 5785 e il passaggio al nuovo anno. Un’auspicio mai così vero come quest’anno, sottolinea Vito Anav, il presidente della Hevrat Yehudei Italia (la comunità degli israeliani di origine italiana), in un messaggio inviato agli italkim. Il pensiero, scrive Anav, è rivolto a quanto accade «ai nostri cari, ai nostri fratelli, ai nostri soldati, ai nostri rapiti, ai nostri figli e genitori, al nostro amato Paese». Il 5785 è stato segnato dai massacri del 7 ottobre, dalla guerra a Gaza, dal conflitto con Hezbollah. «Ancora non possiamo fermarci per curare le ferite, ancora non vediamo una soluzione, ancora non sappiamo bene dove vogliamo andare e come farlo», sottolinea il presidente della Hevrat, per cui è importante in questo momento mantenere l’unità. L’avvicinarsi del nuovo anno è anche un’occasione per tirare le fila su quanto fatto, ricorda Anav, citando alcune iniziative del post 7 ottobre: dall’invio di aiuti agli sfollati del nord e del sud d’Israele e ai soldati, al volontariato per sostenere l’agricoltura segnata dalla guerra, fino al protocollo d’intesa siglato di recente con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per una maggior sinergia tra Italia e Israele. «L’obiettivo è di lavorare insieme per offrire servizi e opportunità agli ebrei di entrambi i paesi», spiegava Anav a inizio estate a Pagine Ebraiche. «L’ebraismo italiano ha una cultura millenaria, una forza inimmaginabile, a cui noi qui a Gerusalemme, a Tel Aviv, a Netanya, non vogliamo rinunciare. Ogni italki ha la sua visione del mondo e del paese, le sue idee politiche, non siamo ovviamente un monolite, anzi ben rappresentiamo la diversità israeliana. Proprio perché siamo così ben integrati, sicuri della nostra identità israeliana, vogliamo conservare, proteggere, ampliare anche quella italiana». Da anni Anav insiste sull’importanza di collaborare con l’Ucei. «Speriamo che il protocollo porti a una cooperazione continua e strutturata e non restino solo le dichiarazioni sulla carta».
Il presidente della Hevrat Yehudei Italia ha diverse idee per come consolidare i rapporti tra i due mondi. «Raramente arriva in Italia uno shaliach (inviato) dell’Hashomer Hatzair o del Bene Akiva, organizzazioni che lavorano con i giovani, con radici italiane. Eppure sarebbe uno scambio importante. Un giovane, ad esempio di origine milanese, dopo aver fatto gli studi qui, l’esercito, magari essersi sposato, potrebbe portare la sua esperienza in una comunità italiana». Chi arriva rafforza le sue radici, chi accoglie trova un punto di riferimento in grado di capire le esigenze locali e allo stesso tempo di raccontare con linguaggi comprensibili cosa significa la vita in Israele, spiegava Anav. «Sarebbe una porta d’accesso. E dobbiamo crearne molte altre. Ad esempio sfruttando la possibilità dell’Erasmus. Qui diverse università, dopo il 7 ottobre e l’esplosione di antisemitismo, hanno annunciato che faciliteranno i percorsi per accogliere studenti e ricercatori dall’estero. Un’occasione da cogliere». Servirà però anche un maggiore investimento sulla lingua. «Corsi di ebraico intensivi, a partire dai giovani, per poter affrontare e capire la vita in Israele».