ISRAELE – Missili anche verso Tel Aviv mentre Bibi arriva a New York

Suonano le sirene nel nord d’Israele, tra Haifa e Tiberiade, per le raffiche di razzi di Hezbollah. Suonano anche a Tel Aviv per il missile sparato dagli yemeniti huthi e intercettato dai sistemi di difesa. Da 357 giorni Israele è in guerra, non solo con Hamas, ma anche con gli alleati dei terroristi palestinesi, tutti sostenuti dall’Iran. Lo ricorda in queste ore il primo ministro Benjamin Netanyahu nel suo intervento a New York all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Criticato da Washington per il suo no a un cessate il fuoco con Hezbollah, che peraltro non lo ha mai invocato, Netanyahu ha fatto un mezzo passo indietro. Ha chiarito di condividere l’obiettivo Usa di una tregua che permetta ai residenti del nord d’Israele di tornare alle loro case. «Israele apprezza gli sforzi degli Stati Uniti in questo senso perché il loro ruolo è indispensabile per promuovere la stabilità e la sicurezza nella regione», ha affermato il premier appena sbarcato a New York.
Della sua delegazione fanno parte sei parenti di ostaggi, tra cui il padre di Yonatan Samerano, rapito il 7 ottobre con la collaborazione di un dipendente dell’Unrwa. Un segnale, scrivono i media locali, che Israele non ha dimenticato i 101 ostaggi ancora in mano a Hamas, anche se ora il fronte più caldo è il nord. «Continuiamo a colpire Hezbollah con piena forza. E non ci fermeremo finché non avremo raggiunto tutti i nostri obiettivi», ha affermato il premier. In patria gli alleati di governo dell’ultra destra minacciano l’uscita dalla coalizione in caso di tregua con Hezbollah. Una replica di quanto accaduto nei mesi scorsi per la possibile intesa a Gaza con Hamas. Una soluzione che diverse famiglie di ostaggi chiedono ancora adesso. «L’impasse nei negoziati è il risultato diretto della condotta fallimentare del primo ministro e della sua scelta di cedere alle richieste della coalizione», ha accusato Ofri Bibas, sorella di Yarden, rapita insieme ai figli e al marito il 7 ottobre dal kibbutz di Nir Oz. «Per quanto mi riguarda il viaggio di Netanyahu (a New York) dovrebbe avere il solo scopo di promuovere un cessate il fuoco al nord e un piano per il ritorno di tutti i rapiti. Qualsiasi altra dichiarazione significa abbandonarli e sacrificarli». Tra chi ha scelto di seguire Netanyahu a New York c’è invece Sharon Sharabi. Due suoi fratelli sono stati rapiti, Eli e Yossi. Il secondo si ritiene sia morto in prigionia, il primo invece dovrebbe essere ancora vivo. «Ho accettato l’invito del primo ministro a seguirlo alle Nazioni Unit, per assicurarmi che nel suo discorso non dimentichi i rapiti, e che lavori giorno e notte notte per il loro ritorno. Per me questa è l’ultima possibilità di salvarli», ha dichiarato a Maariv Sharabi. «Quando il premier mi ha stretto la mano», ha aggiunto, «gli ho chiesto di immaginare che fosse la mano di un ostaggio tesa verso di lui dai tunnel di Gaza da un anno intero. Ho ribadito: “Non devi lasciarli, si fidano di te”. Lui mi ha risposto: “Ci lavoro 24 ore su 24”».

(Nell’immagine, l’incontro a margine dell’Assemblea generale Onu tra il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente serbo Aleksandar Vučić)