ISRAELE – L’esperto: Civili e ostaggi usati come scudo, così Hamas colpisce ancora

Nell’anniversario del 7 ottobre Hamas ha sparato da Gaza cinque razzi contro il centro di Israele. A un anno di distanza, il gruppo terroristico ha ancora arsenale per colpire nonostante l’intensa operazione militare per renderlo inoffensivo. «Non c’è da stupirsi», commenta a Pagine Ebraiche Yoram Schweitzer, direttore del programma di ricerca sul terrorismo dell’Institute for National Security Studies. «Oggi Hamas è profondamente indebolito, ma fino all’ultimo avrà qualche razzo da sparare contro Israele». Questo per la modalità con cui Tsahal opera da un anno a Gaza. «Nonostante le accuse, il nostro esercito si muove cercando di colpire con la massima precisione ed evitando il più possibile il coinvolgimento di civili. Se avessimo fatto la metà di quello di cui siamo accusati a Gaza, oggi Hamas non sarebbe in grado di sparare nemmeno un missile. Ma nessuno stato democratico che rispetta il diritto internazionale può eliminare completamente questa minaccia». Soprattutto perché i terroristi hanno posizionato buona parte del loro arsenale in luoghi dove sono «i civili a fare da scudo umano, che si tratti di palestinesi o degli ostaggi ancora prigionieri». Schweitzer avverte anche che «la vittoria totale» su Hamas non è un obiettivo raggiungibile. «Quando ti scontri con un’organizzazione terroristica che è anche un movimento religioso, economico, sociale devi essere realista e non annunciare una sconfitta definitiva. Vale per Hamas così come per Hezbollah, che ha una capacità militare ben più ampia».
Per l’esperto di terrorismo, con un passato da consulente per il governo israeliano, quest’anno di guerra su più fronti ha dimostrato la capacità del paese di rispondere alle minacce. «Un attacco come il 7 ottobre o l’11 settembre per gli Usa rappresenta una prova importante per una democrazia. Ci vuole tempo per riprendersi e Israele è riuscito a farlo in fretta, distruggendo buona parte degli asset dei suoi nemici». Non solo Hamas, ma anche Hezbollah, colpito con durezza sia nella sua leadership, a partire dall’eliminazione del leader Hassan Nasrallah, sia nella sua capacità operativa. «Ora siamo all’operazione via terra a corto raggio in Libano, il cui obiettivo non è la distruzione totale di Hezbollah, ma mettere in sicurezza l’area in modo da garantire il ritorno nel nord d’Israele di migliaia di sfollati». Nel sud del Libano le operazioni proseguono, così come gli attacchi dei terroristi sciiti che in queste ore hanno sparato oltre 100 missili contro l’area di Haifa.
Si attende inoltre la risposta d’Israele all’attacco iraniano del 1 ottobre. Mentre i 181 missili del regime di Teheran si schiantavano sulle difese aree israeliane, Schweitzer partecipava a un panel del Canale 13. «Sapevamo da ore che sarebbe arrivato ed eravamo pronti. L’attacco non è stata una sorpresa né prima, né durante, né dopo». I risultati di questa offensiva, aggiunge, «sono stati piuttosto scarsi, come già accaduto con il lancio di missili in aprile». La differenza sarà nella replica di Gerusalemme. «In primavera il colpo inferto al regime è stato minimo. Questa volta penso colpiremo con forza, Teheran subirà una rappresaglia molto più dura e dolorosa rispetto alle operazioni chirurgiche del passato. Non credo però si arriverà a una guerra aperta, anche se abbiamo i mezzi per sostenerla». Obiettivi delle forze armate israeliane potrebbero essere le infrastrutture energetiche iraniane o uno dei suoi centri nucleari.
Al di là delle strategie militari, Schweitzer afferma un elemento sostanziale del conflitto iniziato il 7 ottobre: la liberazione degli ostaggi. «Non è meno importante della vittoria su Hamas e Hezbollah. Riguarda i valori fondamentali di Israele e del popolo ebraico: non si abbandonano mai i propri cittadini». Per l’esperto una soluzione diplomatica è inevitabile, «anche perché tutte le guerre, a un certo punto, finiscono con un accordo». L’idea che un’intesa, con scambio degli ostaggi (101 ancora in mano a Hamas, di cui almeno trenta non più in vita) in cambio di prigionieri palestinesi, possa rappresentare un pericolo per Schweitzer è sbagliata. «Anche se in futuro quegli ex prigionieri potrebbero diventare una minaccia, Israele deve assumersi il rischio perché altrimenti si spezza il patto sociale per cui lo stato protegge oggi, ora i suoi cittadini. Avremmo dovuto siglare un accordo già molto tempo. Più passa il tempo e meno chance ci sono che gli ostaggi sopravvivano».

d.r.