7 OTTOBRE – Liram e Ariel: Lottiamo per i nostri fratelli
Liram Berman racconta del rapimento dei suoi fratelli, i gemelli Ziv e Gali, dal kibbutz Kfar Aza. Dal 7 ottobre la sua vita è dedicata a chiederne la liberazione, assieme a quella di tutti gli altri ostaggi ancora prigionieri a Gaza. Anche Ariel Malka, ufficiale dei paracadutisti, parla di suo fratello, il gemello Yonathan. Ricorda il momento in cui, impegnato nei combattimenti a Gaza, sono venuti a dirgli che Yonathan era caduto in uno scontro con Hamas. Ad ascoltare le testimonianze di Liram e Ariel ci sono tanti giovani della Comunità ebraica di Milano. Sono attenti e silenziosi, poi si fermano a parlare con i due ospiti in piccole tavole rotonde. Esprimono la loro solidarietà e ringraziano per l’opportunità di un incontro organizzato dall’Agenzia ebraica in collaborazione con l’Adei-Wizo di Milano e l’Unione giovani ebrei d’Italia.
Ad aprire l’evento sono i saluti della presidente dell’Adei milanese Sylvia Sabbadini e del presidente dell’Ugei Luca Spizzichino. Come associazione delle donne ebree, sottolinea Sabbadini, è doloroso vedere i movimenti femministi voltare le spalle ad altre donne, quelle vittime del 7 ottobre. «Ci sentiamo sole e deluse», afferma, ricordando come le violenze continuino ancora oggi sugli ostaggi ancora in mano a Hamas. Da oltre un anno sono lì, assieme a Ziv e Gali. Di loro, spiega Liram, da mesi non si hanno notizie. Per i primi undici giorni dopo il 7 ottobre nessun sapeva se fossero vivi o morti. Poi si è saputo del loro rapimento, assieme ad altri 19 membri del kibbutz Kfar Aza. 14 sono stati liberati, in cinque sono ancora a Gaza, tra cui i gemelli Berman. Alcuni ostaggi rilasciati a inizio novembre hanno detto di averli visti. Fratelli inseparabili, con gli stessi gusti musicali, le stesse passioni, sono stati divisi dai terroristi. Questa è l’ultima informazione su di loro. Da undici mesi non ci sono novità. Nel mentre Liram è stato a New York, Bruxelles, Parigi, per chiedere al mondo di mobilitarsi. «Non mi fermerò fino a quando mia madre non bacerà di nuovo Gali e Ziv. Finché i miei figli non torneranno a giocare con i loro zii. Finché non li riabbraccerò».
Dopo il 7 ottobre, ogni israeliano porta con sé il suo carico di dolore. Per Malka, gemello di Yonathan e Shira, il lutto in famiglia è arrivato nei mesi successivi. Nel giorno dell’attacco, senza ordini dall’alto, ha lasciato la sua casa a Be’er Sheva e ha riunito un gruppo di soldati. Insieme si sono diretti verso Sderot, combattendo contro i terroristi. Poi è arrivata la chiamata per l’operazione via terra a Gaza. Per tre mesi l’ufficiale dei paracadutisti è rimasto a combattere Hamas. Solo una volta è riuscito a parlare con la famiglia. Yonathan, anche lui in servizio, gli aveva scritto un messaggio: «Ariel sono orgoglioso di te. Se Dio vuole, arriveranno giorni felici». Il 5 dicembre un ufficiale si è recato da Ariel, chiedendogli di sedersi. «Tuo fratello è caduto in combattimento. Oggi si terranno i funerali, torna a casa». Dando la notizia ai suoi commilitoni, Berman ha affidato all’amico Amit Bonzel il comando. Poi è andato a recitare il kaddish e a dare l’ultimo saluto al suo gemello. Dopo la cerimonia il padre del suo commilitone, Amit, si è avvicinato a lui. Voleva notizie del figlio, non sapendo da lui quasi nulla. «Sta bene, combatte eroicamente». Poco dopo il padre di Amit è tornato a casa, ad aspettarlo c’erano tre ufficiali di Tsahal. Il figlio è caduto in combattimento. Il 6 dicembre Ariel si è trovato a parlare a un altro funerale. Nel silenzio del suo racconto ai ragazzi milanesi spiega però di non aver perso fiducia. «La forza del nostro popolo è che non smettiamo mai di ricordare. Cadiamo ma ci rialziamo sempre. E andiamo sempre avanti».
d.r.