GAZA – La ragazza yazida liberata: Hamas mi ha costretto al silenzio

«Ho promesso a Fawzia, la ragazza yazida ostaggio di Hamas a Gaza, che l’avrei riportata a casa da sua madre a Sinjar (in Iraq). A lei sembrava surreale e impossibile, ma non a me, il mio unico nemico era il tempo. Il nostro team l’ha ricongiunta poco fa con sua madre e la sua famiglia a Sinjar». Il 2 ottobre Steve Maman sulla piattaforma X annuncia la fine di un dramma durato dieci anni. Strappata nel 2014 a soli undici anni alla sua famiglia in Iraq, vittima di abusi e violenze, costretta a diventare la sposa-schiava di un terrorista palestinese in Siria, trasferita a Gaza, Fawzia Amin Sido ora è libera e ha riabbracciato la sua famiglia. Un risultato ottenuto soprattutto grazie a Maman, ebreo di origine marocchine con passaporto canadese che dal 2015 è impegnato a salvare le donne yazide e cristiane rapite a migliaia dall’Isis. Un documentario del 2017 lo definisce “lo Schindler ebreo”. E lui stesso a dire di ispirarsi all’imprenditore tedesco, Giusto tra le Nazioni, che salvò oltre mille ebrei durante la Shoah. «Ciò che mi motiva è molto semplice: essendo ebreo, facendo parte di un popolo sopravvissuto alla Shoah, so cosa vuol dire l’indifferenza».
Uomo d’affari, Maman iniziò la sua opera di salvataggio usando i propri contatti di lavoro in Iraq. Oltre 100 le giovani riportate a casa con complesse operazioni tra diplomazia, negoziazioni, riscatti. Una rete costruita nel corso del tempo che lo ha portato a farsi conoscere nella comunità yazida. Per questo la voce sul destino di Fawzia è arrivata fino a lui. Già da prima del 7 ottobre si sapeva fosse prigioniera a Gaza, trascinata lì nel 2020 dal fratello del marito terrorista, morto in Siria nelle file dell’Isis. Nell’enclave palestinese la giovane ha cercato più volte di suicidarsi e ha trascorso settimane in un ospedale psichiatrico. Lo ha raccontato lei stessa all’emittente Voice of America dopo la liberazione. «Ho rifiutato ogni trattamento. Dopo aver lasciato l’ospedale, sono stata portata davanti a un giudice che mi ha detto: ‘Ti imprigionerò per due anni perché hai tentato il suicidio’. Ho replicato: «Perché? Voglio solo tornare dalla mia famiglia». Il giudice mi ha risposto: ‘Chi ti ha detto di venire qui?’. Non ho raccontato a nessuno la mia storia perché Hamas mi aveva ordinato di stare in silenzio».
Nel novembre del 2023 è riuscita a pubblicare un video sul social TikTok e da lì la sua storia è arrivata a Maman. «È stata l’operazione di salvataggio più difficile che abbia mai condotto», ha dichiarato a ynet il businessman canadese. «Le difficoltà geopolitiche tra Iraq e Israele, due paesi che non comunicano, hanno reso tutto molto complicato. Alla fine ho dovuto dividere i compiti e lavorare con ciascuna parte separatamente. Avevo bisogno che Israele le aprisse la porta». Maman e il suo team hanno iniziato a dare istruzioni a Fawzia, liberatasi del suo carceriere, morto in un attacco israeliano: «Le abbiamo spiegato come mettersi in contatto con Tsahal, quali percorsi seguire». Ci è voluto quasi un anno per portarla in salvo. Un’operazione in cui sono stati coinvolti il governo israeliano e americano, funzionari in Iraq e Giordania. «Con l’aiuto di iracheni e giordani, sono riuscito a farle avere un passaporto utilizzando una foto di una videochiamata su WhatsApp», ha spiegato Maman a ynet. Il documento è stato essenziale per permettere alla giovane di attraversare uno dei valichi di frontiera con Gaza. E da lì è stata trasferita in Israele e riportata alla sua famiglia in Iraq. «Questa storia è un raggio di luce in un periodo così cupo», ha sottolineato Maman.