KIPPUR – Herzog: Riconosciamo i nostri fallimenti, ricostruiamo insieme

Il Viddui (וידוי), o confessione, è una preghiera della tradizione ebraica in cui si ammettono i peccati commessi. È un elemento centrale delle preghiere penitenziali di inizio anno che culminano nel giorno di Kippur, più solenne del calendario ebraico. Il Viddui si recita sempre al plurale, come ricorda il presidente d’Israele Isaac Herzog in un messaggio alla nazione alla vigilia di questo Kippur. «Per molti anni mi sono chiesto il perché si reciti al plurale? È forse una fuga dalla responsabilità personale, dal confronto con se stessi? Dall’ammissione dei propri fallimenti?». La risposta è no, sottolinea il presidente. Il plurale del Viddui ci ricorda come anche per i peccati dei singoli la responsabilità sia condivisa. È il simbolo delle legame tra ogni singolo individuo del popolo ebraico: Kol Yisrael arevim zeh bazeh, ovvero «tutto Israele è responsabile l’uno dell’altro». E le mancanze dell’uno influenzano l’intera collettività.
Nella sua analisi, Herzog esplora il significato della preghiera nel difficile momento storico per Israele e il popolo ebraico. Per il presidente il Viddui, con le sue parole «nude, dolorose, che colpiscono il cuore», rappresenta oggi un invito a confrontarsi con la crisi interna a Israele precedente al 7 ottobre, tra polarizzazioni e fratture. Herzog ricorda l’indifferenza, il pregiudizio, le divisioni e l’incapacità di ascoltarsi l’un l’altro presenti nella società israeliana. Ma aggiunge: «Dire il Viddui al plurale non significa solo rendere attuale la condivisione di questi momenti di rottura e di peccato, ma è anche l’inizio della riparazione comune. Perché se c’è una certezza che quest’anno si è rafforzata, è che tutto Israele è responsabile l’uno dell’altro e per l’altro».
Recitare la preghiera al plurale, dopo il 7 ottobre, rappresenta «il nostro grido, che sgorga simultaneamente da milioni di cuori, in tutto il mondo: riportare finalmente a casa le nostre sorelle e i nostri fratelli rapiti dalla valle dell’ombra della morte, come un comando supremo e imperativo dello stato verso i suoi cittadini. Riportare le decine di migliaia di sfollati nei loro luoghi di origine in sicurezza. Ricostruire i villaggi distrutti, far crescere la vita nei campi della morte, rialzarsi e scuotersi dalla polvere e dalle ceneri, guarire e riparare la nostra frattura, costruire, seminare, piantare e fissare le mezuzot».
Herzog conclude di avere la certezza «che supereremo questo difficile periodo e ne usciremo più forti che mai. Questa fiducia la traggo dal nostro popolo meraviglioso, dalle eroine e dagli eroi in prima linea e nelle retrovie che, nonostante sfide insopportabili, preoccupazioni e ansie, tengono insieme case, comunità e un’intera nazione». Il presidente chiosa poi con il tradizionale auspicio: «Che l’anno e le sue maledizioni finiscano, e che possiamo meritarci un anno di buone notizie, salvezza e consolazione. Gmar chatimà tovà».