UK – Il Jewish Chronicle nella bufera dei falsi scoop

The Jewish Chronicle (JC), il settimanale britannico fondato nel 1841, si vanta di essere il più antico giornale ebraico del mondo e da sempre ospita gli annunci di nascite, matrimoni e decessi in una pubblicazione comunitaria che Jonathan Freedland ha descritto come il “cuore pulsante dell’ebraismo britannico”. Ma lui, che vi scriveva settimanalmente, e molti suoi colleghi – racconta Mark Landler sul New York Times – hanno annunciato l’addio alla testata a causa di una serie di articoli sensazionalisti sulla guerra a Gaza, pubblicati e poi smentiti in quanto inventati. Il direttore del JC, Jake Wallis Simons, si è scusato, li ha rimossi dal sito del giornale e ha interrotto i rapporti con il giornalista freelance che li aveva scritti, Elon Perry, dichiarando: «È il peggior incubo di ogni direttore di giornale essere ingannato da un giornalista». È stato il culmine preoccupante di un periodo in cui il JC si è trasformato da amato giornale comunitario – che non esitava a dare un taglio conservatore alle questioni geopolitiche – in portavoce di politici israeliani di destra. Freedland, che è anche editorialista del Guardian, ha dichiarato di aver deciso di interrompere il suo rapporto con il Chronicle con dispiacere, ricordando che prima di lui anche suo padre ne era stato una penna: «Negli ultimi anni, il giornale è diventato più stridentemente di destra, e il suo orientamento non riflette l’ampiezza di posizioni della comunità ebraica in Gran Bretagna».
Oltre a Freedland anche gli editorialisti Hadley Freeman e David Aaronovitch, l’accademico Colin Shindler e l’umorista David Baddiel, hanno lasciato la testata.
Da quando The Jewish Chronicle ha sfiorato l’insolvenza nel 2020 ed è stato salvato da un gruppo di investitori, la proprietà del giornale è rimasta misteriosa, e la mancanza di trasparenza ha turbato molti, spiega il NYT. Ma è stata la questione dei testi del giornalista freelance Elon Perry a far scoppiare il problema. Perry ha sostenuto di avere ottenuto l’informazione che il leader di Hamas, Yahya Sinwar, si stava preparando a fuggire da Gaza attraverso il corridoio Philadelphi verso l’Iran, e che avrebbe portato con sé gli ostaggi israeliani catturati nell’attacco del 7 ottobre contro Israele. I dubbi su quanto aveva scritto Perry sono emersi rapidamente, e il portavoce dell’esercito israeliano, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha dichiarato di non essere a conoscenza di alcuna informazione simile. Perry sul suo sito ha pubblicato diverse informazioni non corrispondenti a verità, notizie che hanno le caratteristiche tipiche di una campagna di disinformazione.
Il Jewish Chronicle è stato per decenni di proprietà della Fondazione Kessler, e nel 2020 i proprietari avevano proposto di fonderlo con l’altro giornale ebraico londinese, The Jewish News, ma l’accordo è saltato quando un consorzio di investitori guidato da Robbie Gibb, ex dirigente della BBC, ha presentato un’offerta concorrente. Fino a poco tempo fa, Gibb era elencato nei registri pubblici come unico azionista di Jewish Chronicle Media Limited, un conflitto con il suo ruolo alla BBC, che comprende la partecipazione al Comitato per le linee guida e gli standard editoriali dell’emittente, e quindi la revisione della copertura della guerra di Gaza. L’opacità sulla proprietà del JC ha rafforzato i sospetti che venga usato per promuovere un’agenda politica sapendo che grazie alla sua lunga storia e al suo posto di rilievo nella comunità ebraica britannica rimane influente. È ancora considerato la voce della comunità ebraica britannica, anche se è molto sbilanciato a favore del partito del premier israeliano Benjamin Netanyahu. «Il Jewish Chronicle aveva un posto di rilievo non solo all’interno della comunità ebraica britannica ma più in generale nel mondo ebraico – ha affermato Shindler, professore emerito di studi su Israele all’Università SOAS di Londra, che ha contribuito con saggi e recensioni per 50 anni – Il bello di The Jewish Chronicle era che doveva essere tutto per tutti». Il giornale non svolge più questo ruolo unificante ed è una perdita per una comunità che sta già soffrendo il trauma degli attacchi di Hamas e l’effetto polarizzante della campagna militare di Israele a Gaza.