USA – Il doppio standard su Cbs: parlare male di Israele si può 

Un editoriale del Jerusalem Post pubblicato il 13 ottobre sostiene che affrontare apertamente le bugie su Israele ha un prezzo, ribadendo quanto ripetuto dai detrattori di Israele. Il fatto che stiano coraggiosamente dando voce a una narrazione che è stata sempre schiacciata e censurata è ridicolo e falso. Racconta poi l’affaire Tony Dokoupil, il conduttore del notiziario mattutino Cbs Mornings la cui ex moglie vive in Israele con due dei suoi figli, che è stato uno dei tre intervistatori di Ta-Nehisi Coates, un giornalista e autore noto soprattutto per i suoi scritti sugli afroamericani e il suprematismo bianco. Uno dei tre saggi contenuti nel suo ultimo libro, The Message, è una polemica unilaterale anti Israele; così Dokoupil lo ha affrontato con fermezza chiedendo conto dell’assenza di contesto e affermando che si tratta di un testo adatto all’armamentario di un estremista. Ha detto Dokoupil: «Perché omettere che Israele è circondato da Paesi che vogliono eliminarlo? Perché omettere che Israele ha a che fare con gruppi terroristici che vogliono eliminarlo? Perché non si parla della prima e della seconda intifada, degli attentati nei caffè, degli attentati agli autobus, dei bambini fatti a pezzi? Perché non credete che Israele abbia il diritto di esistere?». Coates ha risposto che non stava scrivendo il libro definitivo sul conflitto israelo-palestinese, ma che stava solo cercando di dare voce a coloro che non ne hanno una mentre la prospettiva israeliana, presentata da Dokoupil, è ben rappresentata dai media americani. L’editoriale del JPost continua chiedendosi se Coates legga mai il New York Times o il Washington Post, se guardi la Cnn o la Msnbc. E se non si sintonizzi mai nemmeno sulla Cbs, un cui direttore avrebbe inviato un’e-mail a tutti i dipendenti del desk New invitandoli a non dire che Gerusalemme è in Israele. Coates, continua il testo, sta cavalcando l’odio per Israele per raggiungere una celebrità maggiore di quella che avrebbe normalmente raggiunto: nei media tradizionali ci vuole più coraggio a difendere Israele che a criticarlo.
Dokoupil è stato però messo sotto torchio dalla Cbs per aver fatto il suo lavoro e posto domande difficili a un intervistato senza lasciare passare affermazioni prive di contesto storico e di basi fattuali. E durante una riunione di redazione gli alti funzionari del network si sarebbero scusati per l’intervista. Adrienne Roark, responsabile della raccolta delle notizie in Cbs, ha dichiarato: «Continueremo a fare domande difficili. Continueremo a ritenere le persone responsabili. Ma lo faremo in modo oggettivo, il che significa che non dobbiamo lasciare i nostri pregiudizi e le nostre opinioni alla porta». Come ha sottolineato l’editorialista del Washington Post Ruth Marcus se un conduttore gay intervistasse un autore ostile ai diritti delle persone LGBTQ+ o se un intervistatore di colore facesse pressione su qualcuno che si oppone alle azioni positive o agli sforzi per aumentare la diversità e si lasciassero sfuggire sentimenti personali è molto improbabile che dovrebbero poi assistere a una rivolta tra i colleghi o ricevere rimproveri. Il doppio standard giornalistico nei confronti di Israele è sempre più evidente.