SOCIETÀ – Batsheva Hay, la voce irriverente della moda “modesta”

La parola d’ordine è discrezione. «Very demure, very mindful», esorta su TikTok un video diventato virale. «Sono molto modesta, molto attenta», spiega l’influencer Jools Lebron. E dall’ufficio al bar, declina la lezione fra satira e buon senso: non si va al lavoro acconciate alla Marge Simpson, vietato truccarsi come un clown, il profumo si misura a gocce e non a litri. Il trend, che rilancia in modo imprevedibile due antiche parole inglesi – entrambe risalgono al XIV secolo – ha fatto ormai il giro del mondo. Le imitazioni sono spuntate come funghi, i grandi marchi si sono adeguati e le passerelle ribadiscono il messaggio: gli eccessi sono al bando, il basso profilo è di rigore. In questo clima, la moda modesta registra un nuovo boom d’interesse.
Dedicata alle donne che vestono senza enfatizzare il corpo, la modest fashion ha da tempo superato i confini del mondo ebraico, musulmano e cristiano a cui, con accenti diversi, è per tradizione associata. In termini di mercato è una nicchia, concentrata nel settore del lusso, che vale oggi 300 miliardi di dollari e promette di raddoppiare alla svelta. In chiave di stile è però esplosiva. È congeniale al gusto demure e al lusso old money reso popolare dalla serie tv Succession e intercetta l’immaginario di tutte le donne che vogliono abiti femminili e un’estetica che non obbedisce alla dittatura dello sguardo maschile. Donne spesso giovani e cosmopolite che rivendicano la libertà di coprirsi anziché l’obbligo di scoprirsi senza rinunciare all’eleganza.

Quando la tzniut fa tendenza

La voce più irriverente di questa tendenza è la stilista americana Batsheva Hay che in un breve giro d’anni ha catapultato la tzniut (in ebraico “modestia”), lo stile delle donne ebree osservanti, sotto i riflettori della moda internazionale. A rendere inconfondibili i suoi abiti è un profondo legame con l’identità e la cultura ebraica, la fonte più autentica della sua ispirazione, che rilegge in chiave ironica e contemporanea. La sua storia riflette più di tante dichiarazioni quest’arco creativo. Batsheva, 43 anni, arriva alla moda un po’ per gioco e un po’ per caso. Dopo una laurea a Stanford e alla Georgetown Law School, si tuffa nella carriera di avvocato ma presto si pente. Non è il lavoro che fa per lei e per un po’ si dedica ad altro. La svolta arriva nel 2012 quando incontra Alexei Hay, un noto fotografo di moda.
Cresciuto in una famiglia ebraica laica, Alexei si è da poco avvicinato a un rabbino hassid, è diventato osservante e desidera una moglie che condivida i suoi valori e le regole della tradizione – incluso l’abbigliamento. «Anche vestirsi ha un significato spirituale», spiega in un’intervista a Town & Country. «È un gesto quotidiano pieno di significato. Esiste un protocollo su come vestirsi, cosa indossare, perché devono essere certi tagli e colori». In altre parole, vestirsi è un modo di muoversi nel mondo. Come Alexei, Batsheva viene da una famiglia laica. Sua madre, ha raccontato al New Yorker, lavorava in un kibbutz dove poco dopo la Guerra del Kippur ha incontrato il padre, un ingegnere israeliano. La coppia si trasferisce a New York ma in casa si parla ebraico e si celebrano le feste; e lei, nata e cresciuta nel Queens, da bambina frequenta la scuola ebraica.
Se il suo legame con la tradizione finisce qui, per lei il matrimonio segna un’inversione di rotta. In casa Hay si mangia kasher, si rispetta il sabato e Batsheva si adegua di buon grado ai canoni della tzniut – abiti accollati, maniche lunghe, gonne sotto il ginocchio, capo coperto. Per lei che fin da ragazzina ama il vintage e i vestiti romantici di Laura Ashley, è un’evoluzione quasi naturale (fatta eccezione per la parrucca che abbandona dopo qualche mese).
Presto si innamora delle foto di Cindy Sherman, dell’estetica anni Cinquanta dei negozi di moda nei quartieri ebraici di New York e dell’eleganza delle donne che affollano quelle strade. Vestire modesto, capisce, non significa rinunciare allo stile. Il futuro resta però un punto interrogativo. «L’idea di tornare alla carriera legale quando i bambini fossero cresciuti mi terrorizzava», ricorda in un’intervista al Jerusalem Post.

Stilista per caso

Le cose iniziano a cambiare il giorno in cui fa rifare dal sarto, in altri colori, un vecchio abito che ha amato molto ed è ormai liso. Batsheva aggiunge un colletto, uno sbuffo alle maniche, qualche volant e un nuovo stile è nato. I complimenti piovono, i modelli e i tessuti si moltiplicano. Arrivano le ordinazioni delle amiche, Instagram e infine un sito dove vende abiti su misura. È l’avvio di una carriera che oggi la vede trionfare nei negozi e nei circoli più sofisticati. I suoi abiti sono femminili, teatrali, colorati, stravaganti. Intrecciano spunti vittoriani e storia americana, moda modesta e guizzi d’avanguardia. Natalie Portman, Courtney Love e Celine Dion adorano le sue creazioni. Beyoncé parla di lei con entusiasmo e i capi in maglia frutto di una recente collaborazione con Ella Emhoff, figlia del candidato First Gentleman ebreo Doug Emhoff, sono andati esauriti nel giro di poche ore. Quanto a lei, dell’identità ebraica ha fatto la cifra del suo successo. Si è fatta ritrarre mentre impasta la challah, accende le candele di Shabbat, posa con la famiglia davanti a un’immagine dei Dieci comandamenti. È la modella perfetta per i suoi abiti – alta, sottile, i capelli rossi lunghi fino alla vita. E non guasta che l’autore delle foto sia il marito Alexei Hay, che cura anche l’immagine delle collezioni. La moda di Batsheva è uno straordinario affare di famiglia.

Daniela Gross

(Nell’immagine: uno dei look che Batsheva Hay sfoggia su Instagram)