CULTURA – Addio a Paul Mendes-Flohr, grande del pensiero ebraico
Nel giorno di Sheminì ‘Atzeret 5785 (24 ottobre 2024) è mancato a Gerusalemme il professor Paul Mendes-Flohr, uno dei più noti studiosi a livello mondiale del pensiero ebraico moderno, soprattutto biografo e interprete di grandi filosofi dell’ebraismo come Martin Buber, Franz Rosenzweig e Gershom Scholem. Era nato a New York 83 anni fa. Il suo approccio accademico fu quello della cosiddetta “intellectual history”, con il quale ha formato centinaia di studiosi: ha insegnato prima alla Brandeis University, dove aveva preso il dottorato con un allievo di Buber, Nahum Glatzer, e con Alexander Altmann; poi per decenni fu docente all’Università Ebraica di Gerusalemme (dove negli anni Novanta era stato il mio Doktorvater); infine alla Divinity School dell’università di Chicago. Lasciato l’insegnamento, era tornato definitivamente a vivere in Israele. Ma con i suoi scritti Mendes-Flohr ha disseminato una conoscenza dettagliata e profonda della grande simbiosi ebraico-tedesca che si estende da Moses Mendelssohn e l’haskalà, nella seconda metà del XVIII secolo, fino alla Shoah. Ma la sua vita è stata anche una testimonianza caparbia di fede nella possibilità di far dialogare mondi e culture diverse, non solo a livello religioso. Dialogò con il Dalai Lama e con alti esponenti dell’induismo, e cercò di abbattere le barriere ideologiche e psicologiche tra israeliani e palestinesi, perseguendo fino alla fine – in un crescendo di angoscia e frustrazione – ogni collaborazione per realizzare il “sogno”, che fu di Buber, di una vera pacificazione del Medio Oriente. Che sia morto nell’ultimo giorno di Sukkot, liturgicamente a un anno esatto dal sette ottobre, è una coincidenza che non suona come tale.
Oltre ad alcune monografie sull’identità e sul pensiero sociale dell’ebraismo tedesco, Mendes-Flohr curò la fondamentale antologia di scritti buberiani Una terra e due popoli: sulla questione ebraico-araba, la cui edizione italiana si deve alla sua amica la profesoressa Irene Kajon e a Paolo Piccolella (pubblicata da Giuntina nel 2008); assemblò con Jehuda Reinharz una “storia documentaria” intitolata The Jew in the Modern World, a tutt’oggi il manuale storico-filosofico più citato e diffuso tra gli studiosi in questo campo; e sempre negli anni Ottanta coordinò, con Arthur A. Cohen, l’antologia intitolata Contemporary Jewish Religious Thought, una straordinaria raccolta di saggi ebraici su ogni tema di pensiero, scritti dalla miglior intellighenzia mondiale di fine secolo. Fu un geniale storico dell’esperienza ebraica moderna e un instancabile architetto di ponti tra Israele e la diaspora (soprattutto nordamericana), tra tedeschi ed ebrei, tra ebrei e cristiani… aiutato in ciò da un raffinato senso dell’umorismo. Fu quello che che, nel gergo che amava, si chiama un Mensch, rigoroso e generoso come non tutti gli accademici sanno essere al contempo. La sua memoria è già benedizione.
Massimo Giuliani