La profezia di Albert Londres sull’ebreo errante
Nel 1929 la Grande Depressione scaturita dal crollo di Wall Street precipita l’umanità intera nell’incertezza, provocando tra le sue conseguenze un inquietante diffondersi dell’antisemitismo. Nel 1929 il giornale francese Le Petit Parisien inizia a pubblicare una serie di 27 reportage sulla condizione degli ebrei d’Europa, firmati dal giornalista e scrittore Albert Londres, da molti ritenuto l’inventore del moderno giornalismo d’inchiesta. Un mondo in pericolo, avvertiva l’autore, tragicamente profetico.
Soprattutto in quell’Europa orientale descritta con magistrale tratto di penna e dalla quale inizia il suo viaggio, che parte dalla Russia subcarpatica e transita poi in Transilvania, Bessarabia, Bucovina e Galizia, ma anche in una Varsavia pulsante anch’essa di vita ebraica alla volta dell’allora Palestina mandataria, il futuro Stato d’Israele. Dai suoi articoli sarebbe germogliato un libro, L’ebreo errante è arrivato. La notizia è che il testo di Londres è tornato dove merita di stare, nelle librerie, grazie all’editore Lindau che ne cura una nuova edizione con la traduzione di Pierfranco Minsenti.
Si viaggia e si sogna, grazie a Londres. Rivivono gli ultimi palpiti di quelle società umane, di quell’universo yiddish che fu caro ai fratelli Israel e Joshua Singer, ma anche ad autori come Joseph Roth che agli Ostjuden dedicò non a caso il suo Ebrei erranti. «La fedeltà degli ebrei alla Legge non si è mai smentita», scrive ammirato Londres. «È come il loro vessillo nazionale, il loro inno patriottico, il loro milite ignoto. Quello che nutrono per la Torah non è semplice rispetto, ma un eterno slancio del cuore».
Tanta miseria, tanta precarietà, nel viaggio all’est: «Gli ebrei non sono magri, sono fatti d’aria. Guance pallide, pance incavate. Sotto le nocche, risuonerebbero come la cassa di un violino».
Sul taccuino si imprimono incontri straordinari. O, per usare le parole dell’autore, «la più incredibile collezione di facce che delle spalle avessero mai sorretto: facce da Nettuno, da patriarca, da Rembrandt, da capro, da avvoltoio vecchio e giovane, da cavallo, da Raffaello!». Alcune, racconta Londres, «sembravano venute giù dal cielo, altre sembravano uscite da una di quelle scatole da cui balza fuori un diavoletto a molla». Quasi nulla di quel che ha visto Londres poco meno di cento anni fa esiste ancora. Uno spettro d’altronde «sbarra la strada» agli ebrei orientali. Lo spettro «si chiama pogrom» ed «è come l’incendio di una foresta: il primo albero che prende fuoco incendia anche agli altri ». Londres si riferisce ai pogrom di Chişinău di inizio secolo e poi a quelli avvenuti tra 1918 e 1920 in Ucraina e Galizia orientale. E infine, nel 1927, in Romania. Quel “rogo” sarebbe presto diventato indomabile, sulla spinta di istituzioni dedite con ancora più scientificità al massacro. Ma Londres, morto un anno prima dell’avvento al potere di Adolf Hitler, non fece in tempo a raccontarlo.
a.s.