STORIA – A 100 anni dall’altro Congresso di Livorno

«Si è commemorato a Livorno il Convegno del 1924», titola la Rassegna Mensile di Israel del gennaio 1975: sono 13 le pagine dedicate al congresso sionistico che si tenne l’anno prima, a cinquant’anni dal celebre e importante congresso che ebbe luogo nella città labronica nel 1924. Un appuntamento solenne e partecipato, quello del 1974, che ben ricordo per avervi partecipato da giovane volontario nell’organizzazione e quale membro del Benè Akivà.
Tornando alla Rassegna, quelle 13 pagine ospitano le conclusioni di importanti esponenti dell’ebraismo italiano di quegli anni, alcuni veri e propri ponti viventi con la storica assise del 1924, momento fondamentale per il nostro ebraismo di allora e del futuro, pur non potendo prevedere quei partecipanti che l’ebraismo italiano, erede del grande ed esaltante momento storico costituito dal Risorgimento e dallo smantellamento, dopo Porta Pia, dell’ultimo ghetto del paese, avrebbe poi subìto il tradimento della casa reale – la stessa sotto le cui insegne gli ebrei avevano combattuto con partecipazione nella guerra del 1915-18 – la persecuzione tramite le cosiddette “leggi razziali” e la Shoah.
Più viva e concreta è invece la visione dello Stato d’Israele che sarebbe poi arrivato nel 1948.
Nel suo discorso di saluto, l’allora rabbino capo di Livorno, rav Giuseppe Laras zl, così sintetizza il senso di quella rievocazione: «Rievocare il Convegno di Livorno del 1924 significa riallacciarsi ad un momento particolarmente fecondo e glorioso della storia degli ebrei d’Italia, significa entrare in collegamento, in modo non meramente formale, con alcuni grandi del nostro passato, con i Maestri delle generazioni che ci hanno preceduto, con coloro che ci hanno consentito, con la testimonianza del loro esempio e con la voce del loro convincimento, di non essere annientati dalla marea di morte e di smarrimento che avrebbe sommerso di lì a pochi anni l’ebraismo italiano ed europeo. Un tributo di riconoscenza alla loro memoria, quindi, questo nostro incontro odierno, ma soprattutto un tributo alla verità, impostoci dalla nostra coscienza».
Impressionante è la concentrazione di personaggi chiave dell’ebraismo di allora che, ancora nel suo discorso, rav Laras riepiloga con una cernita che non può essere esaustiva: Carlo Alberto Viterbo che «pur non protagonista di primo piano – per sua stessa ammissione –, al Convegno del ‘24 fu intensamente influenzato e catturato dalla sua atmosfera, tanto da divenire di lì in poi una personalità di primo piano nella vita dell’Ebraismo italiano; Dante Lattes, «ancora giovane, ma già impostosi come leader e animatore dell’ebraismo italiano», Enzo Sereni, «principale appassionato assertore della linea haluzzistica del Sionismo»; Enzo Bonaventura, «esaltatore del contenuto più tradizionale ed emozionale dell’ebraismo di cui, come docente di psicologia, tendeva ad esaltare l’aspetto etico nella sua attuazione nell’ambito della vita pubblica e privata e specialmente nella sfera sessuale»; Nello Rosselli, «assassinato alcuni anni dopo in Francia, assieme al fratello Carlo, per ordine del fascismo, che vedeva nell’ebraismo soprattutto una concezione religiosa e filosofica della vita»; Alfredo S. Toaff, in aprile nominato Rabbino Maggiore di Livorno, «organizzatore e animatore del Convegno, da poco assurto alla guida spirituale della Comunità livornese, appassionato animatore di ebraicità»; Guido Bedarida, «ascoltatissimo relatore, nobile figura di studioso e di poeta…»; Umberto Nahon, «il cui ricordo è in tutti noi ancora così vivo e accorato, che fu fra i più giovani e alacri organizzatori del Convegno».
Seguono poi citazioni per Ciro Glass, Alberto Olivetti, Aldo Servadio, Giuseppe Sinigaglia, Mario Volterra, David Prato, Angelo Sacerdoti, Salvatore Attal, Cesarino Rossi, Alfonso Pacifici, Yoseph Colombo, Guido Benzimra, Aldo Neppi Modona, Alfredo Ravenna, Ida Della Torre, Ugo Ayo, Tullio Viterbo, Vittorio Segre, Carlo Alberto Luzzatti, Dr. Shaerf, Peppino Vitale e altri. Un elenco, appunto, impressionante con nomi che caratterizzeranno per decenni l’ebraismo italiano.
Nell’analisi di rav Laras, opportunamente centrale è l’analisi del sentimento sionistico presente tra gli ebrei italiani che, sino al ‘24, non appare particolarmente marcato (la storica visione dello stato d’Israele quale rifugio per i poveri ebrei perseguitati nell’est europeo): «Durante il periodo ‘24-38, il Sionismo italiano conobbe una stagione felice e fertile: dalla fase fluida, incerta, contraddittoria, entrò nella fase della concretezza e della determinazione, passando dal momento della riflessione a quello operativo. L’inizio di questa nuova fase del Sionismo italiano e forse anche il suo momento più qualificante è rappresentato dal Convegno giovanile di Livorno».
Interessante anche il quadro di sintesi delle principali correnti che costituivano l’ebraismo di quel periodo e che rav Laras identifica così: «una corrente assimilazionistica, composta da quegli individui che sentivano verso l’ebraismo un flebile e confuso collegamento ancestrale, sordi ed ostili ad ogni richiamo verso Erez Israel come antica terra di origine; una corrente (certamente la più consistente numericamente) formata da coloro che vedevano nell’ebraismo un mero fatto religioso e legati, a livello sentimentale ed emozionale, alla terra di Israele, trasfigurata spesso in un alone di magica e nostalgica irrealtà; una corrente, numericamente non troppo consistente, ma qualitativamente più consapevole e preparata, costituita da coloro – i Sionisti, appunto, maturati negli ultimi anni – che ponevano il problema del Sionismo e dell’ebraismo in termini terribilmente chiari, senza infingimenti o giri di parole. Quest’ultima corrente, guardata dai più con stupore e anche con sospetto, intervenne a Livorno con i suoi rappresentanti più qualificati, provocando – come era da attendersi – una discussione non di tipo convenzionale».
Grande copertura, per usare un termine giornalistico, venne data all’evento labronico, sin dalle sue prime fasi organizzative, dalla testata Israel che, nel numero del 20 novembre 1924 (quindi a poche settimane dal congresso), dedica uno spazio assai ampio e approfondito, riportando molti interventi di quei tre giorni di convegno.
Molti di questi vengono richiamati da rav Laras e negli altri interventi ospitati dalla Rassegna nel 1974: impossibile darne adeguata menzione e quindi mi limito a riportare, in estratto, la particolare attenzione che l’estensore pone all’intervento di Rosselli, per molti versi assai lontano dal sentire di un Rabbino e che, proprio per questo e per la profondità di pensiero di rav Laras, trovo particolarmente interessante: «Il momento culminante e più emozionante del Convegno si ebbe allorché prese la parola Nello Rosselli. L’intervento di questo giovane, già noto per il suo antifascismo e per l’impegno in campo politico, che non faceva parte di alcun gruppo ebraico e tanto meno di quello sionistico, emozionò i presenti, dando l’impressione che un qualcosa di straordinario stesse per succedere. Per lui, il problema ebraico, ignorato sotto il profilo dell’integralismo pacificiano e sotto quello politico-nazionalistico di Sereni, era unicamente concepito e concepibile sotto l’aspetto religioso, ma in un’accezione del tutto particolare, artificiale e, consentitemi di dirlo, assimilatorio. «Io intendo per ebraismo – così si esprimeva – una concezione religiosa della vita: mi dico ebreo e tengo al mio ebraismo perché indistruttibile è in me la coscienza monoteistica, perché mi ripugna ogni pur larvata forma di idolatria, perché considero con ebraica severità il compito della nostra vita terrena e con ebraica serenità il mistero dell’oltretomba, perché amo tutti gli uomini come in Israel si comanda di amare». Rosselli, dunque, dopo aver risolto l’ebraismo in una universale aspirazione alla libertà, di tipo idealistico, concludeva che la sua pace poteva trovarsi solo dove erano le fondamenta della sua individualità, nell’ebraismo e nell’italianità».
La Comunità ebraica di Livorno si propone di ricordare il centenario con una giornata di studi a dicembre: non solo in vista di questa la domanda da porsi, cento anni dopo, credo sia quella che sempre rav Laras poneva: «E l’oggi? Ovverosia, quale collegamento fra il tempo di Livorno ‘24 e il nostro tempo? Individuare questo collegamento significa giustificare in termini di concretezza questo ricordo e conferire all’odierna celebrazione una carica di vita che superi la retorica e la mitizzazione che fatalmente accompagnano gli avvenimenti del passato». Un nuovo grande momento come quello del 1924, sarebbe quindi utile e opportuno anche oggi e, perché no, magari di nuovo a Livorno.

Gadi Polacco