USA – La polizia fuori dal tempio? Oggi è la norma
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Dopo il 7 ottobre 2023, Michelle Love ha iniziato a indossare al collo una Stella di David insieme a un ciondolo con il suo nome in ebraico, Malka. Love è un medico alla Columbia University di New York, dove visita studenti ogni giorno. Alcuni studenti ebrei le hanno detto: «Mi piace la tua collana», iniziando così a chiederle consigli su come affrontare la situazione nel campus, che, nell’ultimo anno, è stata notoriamente difficile per gli studenti di religione ebraica.
Quest’anno tante cose sono cambiate per gli ebrei americani, spiega Love. «Penso che l’antisemitismo sia molto più presente in superficie: è sempre esistito, ma ora è molto più evidente. La maggior parte degli ebrei americani sono sionisti e sentono un legame con Israele, ma all’improvviso si sono trovati a dover difendere Israele anche se non sono necessariamente d’accordo con tutto ciò che fa il governo israeliano».
Love è nata in Canada, ha la doppia cittadinanza e non ha mai mancato un’elezione, incluse le primarie del Partito Democratico. Nel 2016, durante la campagna di Hillary Clinton, il suo impegno politico si è intensificato, e dopo la vittoria di Trump ha iniziato ad attivarsi in modo più diretto.
Ad ogni ciclo elettorale, ha scritto centinaia di cartoline per persuadere gli elettori negli swing states a votare. «Sono profondamente turbata dall’antisemitismo presente a sinistra, ma questo non mi fa mettere in dubbio per chi votare. Gli antisemiti sono ovunque!» dice. Con una riserva: se nel suo distretto elettorale ci fosse una candidata democratica come Rashida Tlaib (la parlamentare di origini palestinesi del Michigan, nota per le sue posizioni fortemente anti-Israele) non avrebbe sostenuto il suo partito.
Il voto di Love per Kamala Harris rappresenta la maggioranza degli ebrei americani. Il Manhattan Institute, un importante think tank di orientamento conservatore, ha stimato che, nelle elezioni presidenziali di novembre, il 67% degli elettori di religione ebraica voterà per Kamala Harris, mentre solo il 31% sosterrà Donald Trump. Il sostegno degli elettori ebrei al Partito Democratico, però, potrebbe raggiungere un minimo storico, il più basso per un candidato democratico dagli anni ‘80, durante la presidenza di Ronald Reagan. L’analisi dei flussi elettorali aiuterà a conoscere i dati con più precisione.
Gli ebrei americani, secondo un sondaggio del Pew Research Center basato su quasi 5.000 intervistati, si identificano per la maggior parte nel movimento Reform (37%) o non appartenenti ad alcuna denominazione religiosa (32%). Solo il 17% è Conservative e il 9% Orthodox (Modern Orthodox, Hasidic o Yeshivish). Se si analizza solo lo spaccato di ebrei Orthodox e Conservative, la maggioranza sostiene Trump. Shabbos Kestenbaum, un giovane attivista ebreo recentemente laureato a Harvard, ha dichiarato di aver «rotto» con il Partito Democratico a causa dell’aumento dell’antisemitismo nei campus universitari. «Non ho sostenuto Trump nel 2016, non l’ho sostenuto nel 2020. Non lo sostenevo neanche sei mesi fa. [Ma], il Partito Democratico ha dato per scontato il voto ebraico e gli elettori ebrei per troppo tempo», ha affermato durante il suo endorsement a Trump. Kestenbaum è cresciuto in una famiglia Modern Orthodox a Riverdale (NY).
A 25 anni, Kestenbaum ora viaggia per gli Stati Uniti per parlare di antisemitismo nei campus. Attualmente è anche coinvolto in una causa legale contro Harvard, accusata di non aver adeguatamente contrastato l’ascesa dell’odio antiebraico nell’ultimo anno. Il problema dell’antisemitismo non riguarda solo le università dell’Ivy League, sostiene Kestenbaum in un’intervista; eppure, nelle università più prestigiose «studenti e professori non temono conseguenze».
Kestenbaum si dichiara ancora progressive, ma si rifiuta di sostenere un Partito Democratico che definisce «disinteressato e riluttante» ad affrontare la questione dell’antisemitismo.
Gli effetti di quest’anno eccezionale per gli ebrei americani si fanno già sentire. Le scuole ebraiche americane sono note per l’alto livello accademico; ogni anno, i licei mandano i loro diplomati nelle università migliori degli Stati Uniti. Ma quest’anno, ad esempio, neanche un diplomato del liceo Ramaz di New York si è immatricolato alla Columbia; è la prima volta che succede in oltre vent’anni.
A beneficiarne sono anche le istituzioni accademiche ebraiche come la Yeshiva University, che ha registrato un record d’iscrizioni.
Lo scorso marzo, in molte case ebraiche americane si è letto e discusso ampiamente un numero particolare della rivista The Atlantic, che preannunciava la fine dell’età dell’oro dell’ebraismo americano. «Non senza combattere», commenta Kestenbaum. «Abbiamo tremila anni di storia alle spalle da cui trarre insegnamento, e lotteremo. Noi ebrei americani non siamo cresciuti con la polizia fuori dalle sinagoghe, ma ora è normale; alcuni non si sentono più a loro agio a camminare per strada indossando la kippà; le comunità hanno dovuto creare i loro sistemi di sicurezza interni. E nel 2018 abbiamo vissuto l’attacco antisemita con più vittime della storia americana».
Non tutti sono pessimisti; abbiamo recentemente visto le foto di Josh Shapiro, governatore ebreo della Pennsylvania, celebrare Sukkot nella succà della sua residenza ufficiale. Eppure, anche Love si dichiara preoccupata: «Se guardi alla storia, noi ebrei abbiamo spesso avuto periodi d’oro, seguiti da momenti di difficoltà, che ci hanno costretti a spostarci altrove. Mi chiedo se questo sia l’inizio di uno di quei periodi anche per noi, o se le cose miglioreranno di nuovo. Ma l’ebraismo americano è forte; e anche se dovessero arrivare tempi difficili, saremo forti».
Simone Somekh