USA – La maratona di New York, il voto per le presidenziali e quelle magliette per gli ostaggi
Domenica era l’ultimo giorno di “early voting” per gli abitanti di New York City. C’è chi ne ha approfittato per fare “doppietta”: prima è andato al seggio per esercitare il proprio diritto di elettore e poi si è riversato sulle strade della Grande Mela per la tradizionale maratona d’inizio novembre. Oppure viceversa, per chi aveva ancora gambe e fiato dopo lo sforzo fisico: prima la corsa e poi, in tuta e pantaloncini, la cabina elettorale.
Oltre 54mila podisti hanno in ogni caso partecipato alla gara, una delle più prestigiose del circuito internazionale, vinta tra gli uomini dall’olandese Abdi Nageeye e tra le donne dalla keniana Sheila Chepkirui. Quasi 2.500 iscritti erano italiani, il gruppo più numeroso tra gli stranieri. Significativa anche la presenza israeliana, con oltre 250 runner al via. Molti di loro indossavano una maglietta gialla con il logo di Shalva, centro nazionale per la cura e l’inclusione delle persone con disabilità con sede a Gerusalemme, tra i promotori della maratona in programma ogni mese di marzo nella capitale d’Israele. Quest’anno la corsa è stata dedicata agli ostaggi e ai soldati impegnati in guerra contro i terroristi.
In gara c’erano anche 150 podisti iscritti in rappresentanza del forum delle famiglie degli ostaggi. Con il pensiero rivolto in particolare a Naama Levy, Doron Steinbrecher, Evyatar David, Ohad Yahalomi ed Edan Alexandr, tutti e cinque runner da oltre un anno nelle mani di Hamas. Le cronache dei giornali israeliani riportano le parole di Yoni Levy, il padre di Naama: «Partecipava alle gare con passione e coraggio. Se sapesse che ci sono delle persone che corrono per lei, ne sarebbe entusiasta e grata». Così Yamit Ashkanzi, la sorella di Doron, poco prima del via: «Ci riscalda il cuore sapere che c’è chi oggi correrà con l’immagine di Doron, così come avvertire che è nel cuore di così tanta gente. Corrono per lei, perché lei da oltre un anno non può più correre». In gruppo anche Artum Zahavi, riservista dell’esercito. Ha tagliato il traguardo con un appello: «Bring them home, friends!».