ISRAELE – Bibi spiega allontanamento Gallant: «Crisi di fiducia»
Un uomo solo al comando della guerra d’Israele contro i suoi nemici, libero dalle critiche del suo ministro della Difesa. Così quotidiani e analisti israeliani descrivono il primo ministro Benjamin Netanyahu dopo la sua scelta di licenziare Yoav Gallant dalla guida della Difesa. Una mossa già tentata in passato, poi posticipata, ora definitiva. Nell’annunciare l’allontanamento, Netanyahu ha parlato di «una crisi di fiducia» con Gallant che «non permetteva di continuare adeguatamente la campagna militare». Ha inoltre accusato il suo ex ministro di aver favorito il nemico, esplicitando pubblicamente alcune sue critiche sulla gestione del conflitto. Per guidare la Difesa Netanyahu ha scelto un uomo di fiducia, Israel Katz, che lascia l’incarico di ministro degli Esteri, affidato ora a Gideon Saar.
I fronti aperti
A differenza di Gallant, già capo delle forze armate, Katz non ha un passato di rilievo nell’esercito e sarà chiamato a gestire una situazione delicata. La guerra a Gaza non è conclusa così come quella al nord contro Hezbollah. I 101 ostaggi israeliani sono da 397 giorni nelle mani di Hamas e non ci sono segnali per una loro imminente liberazione. Lo scontro con l’Iran è sempre più acceso e il regime di Teheran ha minacciato nuovi attacchi contro lo stato ebraico. Tanti fronti aperti che, dichiarano i critici, avrebbero consigliato a Netanyahu di non privarsi di un uomo di esperienza come Gallant. Tanti fronti aperti, replicano i sostenitori del premier, che chiedono un perfetto allineamento all’interno del governo. Per dirla come il ministro di estrema destra Itamar Ben Gvir (Pubblica sicurezza), con Gallant «era impossibile arrivare alla vittoria totale».
Ma ad essere impossibile, replica il decano dei corrispondenti di guerra d’Israele Ron Ben-Yishai, è una «vittoria totale». Secondo lui la rimozione di Gallant «più che contribuire a un successo militare, potrebbe solo prolungare il conflitto, ritardando il ritorno degli ostaggi e generando incertezza nella popolazione e nel sistema di sicurezza». Per la firma di Yedioth Ahronot il licenziamento del ministro rappresenta una dimostrazione di forza di Netanyahu e un avvertimento a chi ne critica le scelte, in primo luogo il capo di Stato maggiore Herzl Halevi e il capo dello Shin Bet Ronen Bar. Entrambi hanno espresso, spiega Ben-Yishai, posizione diverse rispetto al premier sulla gestione del conflitto a Gaza, dimostrandosi più aperti a un’intesa con Hamas. Halevi e Bar erano maggiormente in linea con Gallant e secondo alcuni rischiano ora di fare la stessa fine. «È probabile che Netanyahu non li licenzi perché lo shock sarebbe troppo grande nel sistema di gestione della guerra e nella fiducia dell’opinione pubblica», scrive la firma di Yedioth Ahronoth. Il premier, senza l’ostacolo Gallant, «non avrà difficoltà a dirigerli come desidera. I due probabilmente si dimetteranno se le possibilità di restituire i rapiti diventeranno pari a zero».
La guerra senza Gallant
Dopo il licenziamento, l’ex ministro ha indetto una conferenza stampa e ha citato la questione ostaggi come una delle cause del suo allontanamento. Le altre due sono: l’impegno ad arruolare più studenti delle scuole religiose, attualmente esentati dalla leva, e la necessità di instaurare una commissione d’inchiesta statale per indagare i fallimenti del 7 ottobre.
I leader dei partiti di opposizione Benny Gantz, Yair Lapid, Avigdor Lieberman e Yair Golan, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta criticando la mossa di Netanyahu. Oltre a destabilizzare i vertici della sicurezza, accusano i quattro, Netanyahu ha voluto punire Gallant per la sua insistenza a voler arruolare i haredi.
Su Makkor Rishon, uno dei siti di riferimento della destra israeliana, solo i fatti potranno provare quale sarà l’effetto della rimozione di Gallant. In particolare ora che a guidare l’alleato americano c’è il repubblicano Donald Trump, sottolinea la corrispondente politica del giornale, Hodaia Cherish Hazony. «Se davvero la causa del licenziamento del ministro della Difesa è la necessità acuta di un cambio di atteggiamento militare, se si tratta non di politica ma di una necessità storica per essere più aggressivi e decisi, allora niente come una vittoria di Trump può rafforzare questo cambio di attitudine, con azioni concrete».