7 OTTOBRE – Da Biden a Trump, le famiglie degli ostaggi chiedono aiuto

Messaggi al governo di Gerusalemme, al presidente uscente Joe Biden e a quello eletto Donald Trump, alle Nazioni Unite e alla Croce Rossa. Le famiglie dei 101 ostaggi ancora prigionieri a casa continuano la loro mobilitazione per chiedere un impegno condiviso per riportare i loro cari a casa. «Gli ostaggi non possono più aspettare. Dipende da noi e dai leader repubblicani e democratici cogliere questo momento», hanno scritto sette famiglie di ostaggi con cittadinanza israeliana e americana in un messaggio rivolto a Biden e Trump. «Questa è una crisi umanitaria urgente e catastrofica, non una questione di parte. I nostri famigliari prigionieri a Gaza hanno bisogno di una coalizione bipartisan di leader coraggiosi e impegnati a riportarli a casa».

I coniugi Neutra
Tra i firmatari dell’appello alla Casa Bianca ci sono anche i coniugi Ronen e Orna Neutra, genitori di Omer, da quasi 400 giorni prigioniero di Hamas. I Neutra avevano già fatto sentire la propria voce a Trump, intervenendo a luglio alla Convention dei repubblicani. Oggi come allora chiedono a Washington di insistere per un accordo a Gaza che porti alla liberazione degli ostaggi. Intervistati da ynet, sperano le prossime settimane possano essere risolutive. «Trump ha già detto che vorrebbe vedere la fine della guerra a Gaza entro il suo insediamento. E noi vediamo questa come una finestra di opportunità. Il presidente uscente vuole lasciare la sua eredità. La liberazione degli ostaggi è un tema su cui ha lavorato instancabilmente per tutto l’anno. E speriamo davvero che entrambe le amministrazioni, quella entrante e quella uscente, collaborino per ottenere questo risultato». Per i Neutra così come per altre famiglie degli ostaggi la scelta del premier Benjamin Netanyahu di licenziare il ministro della Difesa Yoav Gallant ha creato «molta ansia». «Gallant si è speso per nostro figlio, che è un soldato, e per tutti gli ostaggi». Da mesi, spiegano i coniugi, l’ormai ex ministro della Difesa aveva spiegato pubblicamente come la situazione sul terreno a Gaza «fosse matura per un accordo. Quindi il suo licenziamento in questo momento ci lascia con molta ansia per il futuro di nostro figlio». La loro richiesta al governo Netanyahu è di mantenere come priorità il rilascio degli ostaggi, prima che sia troppo tardi. Almeno 30 dei 101 ostaggi nelle mani dei terroristi palestinesi non sono più in vita. Più passa il tempo più questo numero salirà, avverte da mesi il Forum delle famiglie degli ostaggi.

Mia Shem accusa la Croce Rossa
In visita a New York, si invece è rivolta alle Nazioni Unite l’ex ostaggio Mia Shem chiedendo il perché del prolungato silenzio dell’Onu davanti al destino degli ostaggi. Invitata a parlare a margine del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Shem ha ricordato come «non una sola agenzia umanitaria mi ha visto o curato» durante la prigionia. «Dov’era la Croce Rossa? Dov’era l’ONU che chiedeva di avere accesso a noi?». Liberata il 30 novembre grazie a un accordo con Hamas, l’ex ostaggio ha raccontato di essere stata imprigionata dai terroristi palestinesi «in una piccola gabbia con altre cinque donne israeliane. Quando sono tornata a casa, ho avuto bisogno di un intervento chirurgico salvavita al braccio. È passato più di un anno e le Nazioni Unite non hanno mosso un dito per liberare gli ostaggi. Voi siete seduti qui sulle vostre comode poltrone, discutendo delle vite dei miei amici come se fossero una questione politica e non persone innocenti torturate dai terroristi. Vi chiedo: perché abbiamo le Nazioni Unite se non si schierano al nostro fianco nei momenti più bui?».